America Latina (maggio 2000)
A Lima abbiamo incontrato le due massime autorità della chiesa
peruviana: monsignor
Juan Luis Cipriani,
arcivescovo della capitale
e primate del paese,
e monsignor Luis Bambaren, presidente della
Conferenza episcopale.
Incontro con l’arcivescovo di Lima
CIPRIANI: «MA QUESTO ERA UN INFERNO»
Vescovo di Ayacucho (la patria di «Sendero»), membro dell’«Opus Dei», amico di Fujimori, ex giocatore di pallacanestro, monsignor Juan Luis Cipriani divenne famoso durante la vicenda dell’ambasciata giapponese. Abilissimo affabulatore e con una forte connotazione da Savonarola, nel gennaio 1999 il prelato è stato nominato arcivescovo di Lima.
Nonostante i successi e la rapidissima carriera, anche monsignor Cipriani ha sbagliato qualche «tiro». Innanzitutto, per la prima volta nella storia della chiesa peruviana, l’arcivescovo di Lima non è stato eletto presidente della Conferenza episcopale. E poi monsignor Cipriani è riuscito rendersi inviso a quasi tutte le organizzazioni per i diritti umani, da lui accusate di essere ispirate soltanto dall’amore per i dollari.
Ecco quello che lui ci ha raccontato durante un lungo incontro.
Il 17 dicembre 1996 un commando del «Movimento rivoluzionario Tupac Amaru» (Mrta) assalta l’ambasciata giapponese di Lima prendendo in ostaggio centinaia di persone. Un mese dopo, il nome di Juan Luis Cipriani, vescovo di Ayacucho e membro dell’«Opus Dei», è conosciuto dai giornalisti di mezzo mondo.
Su proposta del Vaticano, il giovane prelato è infatti entrato nei negoziati tra i sequestratori e il governo peruviano. L’estenuante vicenda si conclude nel sangue il 22 aprile 1997. Sul terreno rimangono tutti i 14 guerriglieri dell’Mrta, due militari e un ostaggio, il giudice Carlos Giusti.
Ad operazione conclusa, monsignor Cipriani dice che non sapeva. Piange per le 17 vittime. Ci sono però anche voci dissonanti. Si fa notare che monsignor Cipriani non poteva non conoscere nei dettagli l’operazione militare e che, di conseguenza, le sue sono state lacrime di coccodrillo.
Monsignor Cipriani torna al lavoro nella diocesi di Ayacucho fino al gennaio 1999 quando viene nominato arcivescovo di Lima, in sostituzione di Augusto Vargas Alzamora. Il prelato non ottiene però le preferenze necessarie per essere eletto presidente della Conferenza episcopale, carica che va a monsignor Luis Bambaren, vescovo di Chimbote.
CERPA CARTOLINI, UN UOMO DIBATTUTO
Lei è stato vescovo di Ayacucho, la «patria» di Sendero Luminoso. Cosa ricorda di quell’epoca?
«Ricordo che vidi troppa gente morta, troppa violenza. E, badi bene, non era una violenza dei poveri contro i ricchi».
Potrebbe spiegare meglio quest’ultimo concetto?
«Sendero Luminoso fece una lotta non per gli ideali, ma per un’idea brutale di tipo maoista-polpottiano. Quando la gente prende la strada della violenza, si spoglia della dignità di persona. Ciò significa che l’immagine di Dio ne rimane cancellata. E questo non trova giustificazione né davanti alla povertà né davanti all’ingiustizia, perché la maggior povertà e ingiustizia si ha quando l’uomo si spoglia della propria dignità.
Il mio messaggio è stato sempre molto chiaro e fermo: si recupera la dignità di persona soltanto se ci si libera della violenza come modo di comportamento».
Rimaniamo su queste tematiche. Nella crisi dell’ambasciata giapponese (17 dicembre 1996 - 22 aprile 1997) lei ricoprì un ruolo di primo piano. Cosa ricorda o cosa vuole dire di quella vicenda?
«La mia non fu un’iniziativa personale. Fui chiamato dalla Santa Sede attraverso la nunziatura. Pensai subito che l’unico modo per uscire da quella situazione era una conversione interiore dei terroristi dell’Mrta. Quelle persone dovevano cioè riuscire a capire che la loro azione non poteva avere soluzione, se non c’era un cambio d’attitudine. Tuttavia, pur nella tragedia, io riuscii ad instaurare un rapporto d’amicizia con i terroristi».
Anche con il loro capo, Nestor Cerpa Cartolini?
«Direi che con lui ci fu un’amicizia speciale. Cerpa aveva la moglie incarcerata e condannata all’ergastolo e i figli in Francia con la sua mamma. Era quindi un uomo dibattuto tra la responsabilità di un padre davanti ai suoi figli e la solidarietà con la sua sposa. Credo che non fu lui il responsabile principale del fallimento, ma qualcuno dei suoi collaboratori».
Intende dire che le soluzioni ci sarebbero state?
«A mio parere, ai sequestratori si offrirono delle alternative accettabili: l’uscita pacifica verso Cuba, la collaborazione di organismi stranieri nel monitoraggio delle carceri peruviane, la possibilità di continuare il dialogo anche dopo aver lasciato l’ambasciata. Probabilmente la loro intransigenza fu alimentata anche dai mezzi di comunicazione. Fecero molto danno la vanità e la superbia di pensare che il risalto dato alla vicenda li aveva trasformati nei protagonisti di una sorta di messianismo. La copertura mondiale della vicenda, certamente comprensibile, fece perdere loro la testa. Non parlavano tanto seriamente con me come con i mezzi di comunicazione. Persero il senso della realtà, del tempo, dei loro limiti».
La crisi dell’ambasciata terminò con un atto di forza, l’assalto di un commando delle forze armate...
«Io non ebbi nulla a che vedere con l’operativo militare. Non ne ero nemmeno a conoscenza. D’altra parte, non posso nemmeno dare la colpa al governo e alle forze armate: c’era in gioco il bene di un folto gruppo di persone, detenute non da un giorno o due, ma da 4 mesi».
Tuttavia, ci furono ben 17 morti. Non le sembra che una simile conclusione sia stata un fallimento anche per voi?
«Fu molto duro accettare tutte quelle morti. Fu il trionfo del male sul bene, perché non si trovarono sufficienti risorse morali e personali per rendersi conto che il rispetto per la vita avrebbe potuto dar luogo a una soluzione diversa. Per tutto ciò io piansi».
MANCA LA FIBRA MORALE
Come vede lei il Perù di oggi da un punto di vista sociale ed economico? È veramente, come recita la pubblicità di Fujimori, un paese con futuro?
«Io non voglio entrare in una discussione politica domestica. Vorrei evidenziare un’altra questione, molto più profonda. Al Perù quello che manca, oggi più che mai, come in altre parti del mondo...».
... è il lavoro?
«È la fibra morale. La frustrazione di non avere un futuro porta all’alcool, alla droga, al divorzio, alla violenza, alla corruzione, al disordine. Si pensa: “Perché mi debbo comportare bene, se non posso mangiare o portare avanti la mia famiglia?”. I laici daranno le risposte ai problemi economici, mentre la chiesa deve continuare a essere un ricettacolo di speranza e dignità. La risposta della chiesa a questa frustrazione deve essere un “supplemento di anima”. Quando l’uomo ha un supplemento di anima è capace di molte cose. Non compete né a me né ad alcun uomo di chiesa fare diagnosi sul Pil, i salari, i modi per generare impiego. Ripeto, il problema principale è morale: la famiglia è corrosa alle sue basi».
In tutto questo la globalizzazione c’entra qualcosa?
«La globalizzazione è veramente un problema tragico. I grandi stanno mangiando i piccoli, ma ad una velocità molto più alta che nella rivoluzione industriale. Proviamo a pensare un momento: se la rivoluzione industriale ha dato origine al marxismo, la globalizzazione a cosa ha dato origine? Al nichilismo, alla droga, al terrorismo.
La globalizzazione è un materialismo selvaggio con grandi profitti economici per alcuni e un maltrattamento brutale per la maggioranza del mondo.
Il mondo è dominato dall’egoismo dei paesi più potenti. Gli Stati Uniti emettono buoni del tesoro e succhiano tutti i risparmi del mondo, per continuare ad alimentare il loro benessere e mandare le loro navicelle nello spazio. L’Unione europea paga gli agricoltori per non seminare. Tutto ciò è lecito? È morale?».
Lei mi sembra piuttosto esperto in economia...
«Sono molto esperto in umanità. Mi fa soffrire molto la situazione dei poveri. Tutti hanno diritto ad avere una casa, una famiglia, educazione e salute. Quando la miseria impedisce di svilupparti liberamente, questo è inumano».
In questa situazione di capitalismo selvaggio (che anche lei riconosce), come si può attuare l’opzione preferenziale per i poveri?
«Se avessi la risposta, sarei un genio. Ma mi lasci spiegare una cosa. Nessuno ha scelto dove nascere e in che condizioni nascere. C’è chi viene al mondo in un ambiente con più mezzi economici e più cultura. C’è invece chi questa fortuna non l’ha.
Poiché Dio ha fatto nascere alcuni uomini in luoghi più fortunati, questi hanno un debito con chi è nato in posti più umili, dove manca l’accesso all’educazione o altri vantaggi. Questo non è un problema né di governo né di leggi. È un problema di umanità.
Il giubileo affronta anche la questione del debito estero. Questo è un problema economico o un problema morale?
«È prima di tutto un problema morale. Nel debito ci sono corruzione, ingiustizia, abusi, usura, furti. Questi non sono problemi economici o sociali, si chiamano peccati. E in quanto tali soltanto Dio può perdonarli. Se a un ladro o un corrotto si condonano gli sbagli, questi possono tornare a rubare facendo danni al loro paese. Dunque, non credo che il condono sia la scelta migliore. Si potrebbe pensare a dei garanti che obblighino a utilizzare i soldi risparmiati in progetti prioritari, per esempio nei campi dell’educazione e della salute».
Nelle chiese e sui giornali, in televisione e negli incontri pubblici, in ogni occasione lei diventa un fustigatore veemente dei comportamenti individuali, in particolare di quelli sessuali... Come mai insiste molto su queste tematiche?
«Se all’uomo e alla donna è tolta la condizione del rispetto reciproco, allora il sesso si trasforma in una merce da sfruttare. In questo paese c’è una infinita mancanza di rispetto per la donna, che è la più maltrattata. Occorrerebbe investire più denaro nell’educazione familiare e meno per chiusure di tube, aborti e ogni tipo di succedaneo. Io continuamente torno a ripetere: vogliamo un bordello ben organizzato o una società di persone responsabili?».
Sulla questione del controllo delle nascite c’è stata un’aspra contrapposizione tra governo e chiesa peruviana. Che può dire al riguardo?
«Prima di tutto nessuno ha ancora dimostrato che la terra non ha sufficienti risorse per sfamare l’umanità e sufficiente spazio per ospitarla. A parte questo, io mi chiedo: il maschio è un essere umano o un animale? La politica del controllo delle nascite dimostra che non abbiamo forza di volontà, non crediamo nei sacramenti, non rispettiamo le nostre spose, non crediamo nei valori. Le metodologie per il controllo delle nascite, indicate dalla chiesa, sono molto difficili perché sono uno stile di vita matrimoniale e familiare. Non sono semplicemente un metodo che si limita a dire “oggi sì, domani no”, capisce?».
A volte la gente si lamenta per il suo linguaggio...
«Io mi sforzo e mi sforzerò di essere più moderato e blando nel mio modo di esprimermi. Il fatto è che sento di scontrarmi con un nemico, in parte col demonio. Sento che la coscienza si sveglia soltanto quando ascolta una parola ferma e forte.
Le posso comunque assicurare che l’affetto della gente nei miei confronti è grande. Lo vedo quando ogni settimana visito le parrocchie. Le persone si avvicinano perché io le tocchi e dicono: “Sarà duro, ma questa persona ci difende e dice la verità”. Per questo mi apprezzano. Il loro è un affetto che ogni volta mi sorprende».
FUJIMORI? UN GRANDE LAVORATORE
Nonostante i contrasti sulle tematiche della pianificazione familiare, si dice che lei sia molto amico di Fujimori...
«Evidentemente lo conosco dai tempi di Ayacucho. Allora ci trovammo d’accordo sul problema del terrorismo. Fujimori considerava la pace il primo obbligo dello stato. E anch’io, da arcivescovo, vedevo la pace come un valore essenziale per poter evangelizzare. Fujimori ha avuto, per lo meno con me, la capacità di dialogare, anche se abbiamo avuto serie divergenze, ad esempio sulla politica demografica».
Qual è la sua opinione sui 10 anni di governo fujimorista?
«Fujimori è un uomo che ha lavorato moltissimo. In Perù si è ottenuto un maggior clima di pace e una gestione più onesta dell’economia. Il costo è stato altissimo, ma chi aveva un’altra formula? Non tocca a me giudicare il suo governo. A conti fatti, però, io credo che il saldo sia positivo. Questo era un inferno».
DIRITTI UMANI. E L’ABORTO?
Lei ha avuto una forte polemica con le organizzazioni per i diritti umani. Sinceramente, secondo lei, questi sono rispettati in Perù?
«Quando io parlo di diritti umani, intendo i diritti di una persona che è stata creata a immagine e somiglianza di Dio e che, pertanto, merita tutto il rispetto riservato a ognuno di noi. I diritti umani sono un problema attuale, ma sono stati ridotti a diritti politici, normalmente con riferimento ai terroristi. Che dire del diritto all’educazione religiosa, a un vincolo stabile nel matrimonio, al lavoro, alla libertà d’espressione, alla sicurezza cittadina, all’intimità, alla dignità? Questi diritti non li difende nessuno. Quando lei parla di diritti umani, si riferisce soltanto a diritti politici?».
Nel termine diritti umani io includo, come lei giustamente ha sottolineato, una serie di diritti: al lavoro, alla libertà di espressione, a muoversi, a credere. Sì, intendo questo: una serie di diritti inglobati nell’essere persona...
«Ebbene, in questa visione ampia dei diritti umani, io direi che nel Perù c’è, ragionevolmente, una politica di diritti umani che permette di abitare il paese. Sono un po’ stanco di coloro che ci chiedono di parlare di diritti umani semplicemente per fare danno a un paese che cerca di alzare la testa».
Come il Perù?
«Certo, come il Perù».
Dunque, i diritti umani sono legati anche a questioni internazionali....
«Chi difende i diritti umani, quando i paesi più potenti (come possono essere gli Stati Uniti) pretendono di interferire con la loro presenza nei paesi più poveri, per i propri interessi e usando una pressione economica e militare? Chi difende i diritti umani, quando un paese come l’Iraq è devastato da cima a fondo? Chi difende i diritti umani dalle multinazionali? E non è tutto qui. C’è una condanna forte e definitiva dell’aborto da parte di istituzioni mondiali come le Nazioni Unite, Amnesty International o la Commissione interamericana per i diritti umani? Io non l’ho sentita».
Contro l’aborto?
«Si stupisce? Io non vedo peggior assassinio di una creatura non nata. Si tratta di milioni di assassinati. Chi li difende?».
ROMA... PUO' ATTENDERE
Lei pensa che un giorno o l’altro andrà a Roma? Al Vaticano, intendo...
«Credo con franchezza che mi piacerebbe restare in Perù per tutta la vita. Ho un enorme amore per il papa e la Santa Sede, ma credo che il mio paese abbia bisogno di me qui. Spero che sia così».
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