America Latina ()
Reportage dal Perù di Fujimori (1)

ZERO INFLAZIONE, 100 PER 100 POVERTÀ

Il maggior vanto di Alberto Fujimori detto "El Chino" è di essere riuscito a sconfiggere "Sendero Luminoso" e l'inflazione. Ma il paese sta pagando molto care queste vittorie. Prostrato da un decennio di politiche neoliberiste, ha visto accentuarsi le ingiustizie e le disparità sociali. Per tutto questo, la maggioranza dei peruviani guarda con sospetto e timore ad un terzo mandato del presidente.

di Paolo Moiola

"E.Wong" è una catena di supermercati peruviani. Il loro slogan recita così: "donde comprar es un placer". In effetti, i supermercati di Efrain Wong sono fornitissimi, eleganti, efficienti, aperti con orario continuato, domenica compresa.
Da Wong ragazze e ragazzi in uniforme ti imbustano la spesa e poi, se le borse sono molte o sono pesanti, te le portano fino alla macchina. L'unica differenza con i supermercati statunitensi sta nella "propina", che qui è formalmente vietata. Sugli scaffali si trova una grande varietà di prodotti, ma i prezzi non sono accessibili a tutti. Tanto che i supermercati sono diffusi nei principali distretti di Lima, ma non nelle immense periferie della metropoli peruviana. Qui è molto più utile (anzi, indispensabile) un "comedor popular", una mensa dei poveri, che un supermercato.

"EL PERú ES UNA COMBI"
A Lima non c'è problema per trovare un taxi. Non si sa esattamente quanti siano perchè quasi tutti sono abusivi. La maggioranza sono persone che fanno i taxisti come secondo o terzo lavoro perchè i soldi non bastano mai. Sono impiegati, maestri, professori, contabili. Lavorano la notte o il sabato e la domenica o comunque in ogni occasione in cui hanno un momento libero. La procedura è semplicissima. Si acquista una etichetta plastificata gialla o rossa con la scritta "taxi" e la si appiccica sul vetro anteriore della propria vettura. Quando si ha bisogno di un taxi, l'attesa sul marciapiede è brevissima e spesso non occorre neppure fare cenni. Nel giro di un paio di minuti una vettura (di norma una piccola utilitaria coreana o giapponese) si fermerà davanti a voi e allora basterà contrattare con il conducente il prezzo della corsa. I taxi sono più costosi delle "combi", ma anche più comodi e più veloci.
Le "combi" sono dei minibus privati che percorrono in lungo e in largo Lima. Pare che nella capitale ne circolino addirittura 50.000. Talmente tante che, invece di risolvere i problemi di traffico e di inquinamento, ne hanno creati. Sono guidate in maniera spericolata e soprattutto si fermano ovunque, originando ingorghi ed incidenti. Come avvenuto per i taxi, le combi sono aumentate a dismisura a causa della disoccupazione. Non danno lavoro soltanto agli autisti, ma anche ai cosiddetti "cobradores". Questi sono giovani o giovanissimi che, per 12-14 ore al giorno, stanno in piedi a lato della porta d'ingresso del minibus. Vi si affacciano per gridare a gran voce le destinazioni delle combi, far entrare i clienti e "cobrar", cioè raccogliere il prezzo della corsa (in media, un sole).
Un fenomeno quello delle combi che ha fatto parlare Fernando Rospigliosi di una "cultura combi". I comportamenti prepotenti ed illegali degli autisti delle combi - sostiene il noto editorialista peruviano - non sono altro che il riflesso dei comportamenti e delle attitudini che caratterizzano il governo di Alberto Fujimori. "El Perú es una combi" conclude Rospigliosi.

I CAMBISTI DI MIRAFLORES
Avenida Arequipa è una via trafficatissima ed anche particolarmente inquinata. è molto lunga: dal centro di Lima arriva fino a Miraflores, uno dei distretti ricchi della metropoli peruviana. La percorro con Jorge Garcia Castillo, messicano, comboniano e direttore di Mision sin Fronteras (l’unica rivista missionaria del Perú e una delle più diffuse dell’intera America Latina), su una combi traballante che "inchioda" ogni 20 metri.
Passiamo accanto a un edificio dell’IPSS, l’Istituto peruviano di sicurezza sociale. "è pubblico – mi spiega Jorge -, ma pochi possono accedervi gratuitamente". Ai lati di Arequipa ci sono case di cura, istituti scolastici, accademie, università: tutto privato e tutto protetto da guardie armate. In Peru, la privatizzazione della sanità e della scuola ha raggiunto livelli statunitensi: soltanto chi ha soldi può curarsi in strutture adeguate e avere un’istruzione di qualità.
Passiamo accanto alla sede di "Somos Perú", il movimento politico di Alberto Andrade, il sindaco di Lima che da poco è stato trionfalmente riconfermato nella carica e che viene pronosticato come avversario di Fujimori nelle elezioni presidenziali del 2000.
Scendiamo nei pressi dell’ovalo di Miraflores. Un distretto questo che rispetta appieno il nome che porta: giardini fioriti, strade pulite come in una città tedesca, ristoranti eleganti, banche, negozi di lusso.
Jorge mi fa notare i "cambisti di strada". Ce ne sono lungo tutte le strade. Vestono casacche gialle con tanto di distintivo del comune e fotografia di riconoscimento. La scritta, posta sulla schiena, vuole rassicurare i clienti: "Dolar seguro. Si no, llama a los..." e via con alcuni numeri di telefono.
Il cambio dollaro-sole è relativamente stabile. Eppure ci sono due economie parallele: una in soles, l'altra in dollari. Ci sono molti negozi che esprimono i prezzi soltanto in valuta americana. Per questo è molto ricercata. Tecnicamente viene chiamata "dollarizzazione dell'economia". A parte gli squilibri economici che crea, essa costituisce un altro motivo di esclusione: tra chi possiede dollari e chi no.
Oltre alla mancanza di lavoro, sono proprio le ingiustizie e le disparità sociali ad originare alti livelli di delinquenza. A Miraflores (come a San Isidro, La Molina, Monterico) sulla difesa di case e negozi non si risparmia: cancellate rinforzate, muri sormontati da fili ad alto voltaggio ("peligro electrico" avvertono i cartelli rossi).

QUEI CENTIMETRI IN MENO
Oggigiorno, i paesi in via di sviluppo (ovvero tutti i paesi non-occidentali) vedono accentuarsi le disparità sociali tra chi ha e chi non ha. Le classi intermedie tendono a scomparire, per lasciare il posto ad una vastissima classe di poveri, al cui interno si distinguono vari gradi di povertà: si va dalle persone che sopravvivono alla meno peggio a quelle che ogni giorno hanno il problema di riuscire a mangiare. Questa tendenza trova conferma nella situazione del Perú. La miseria delle regioni interne (selva, Ande, ecc.) è talmente insopportabile che sempre più peruviani preferiscono migrare verso le periferie urbane, dove magari manca il lavoro e ogni servizio basilare, ma almeno si intravvede la speranza di un futuro cambiamento.
Il 50 per cento dei peruviani vivono al di sotto della soglia di povertà: il 38% della popolazione di Lima e il 68% della popolazione rurale. L'altezza media - riferisce Oscar Ugarteche (in Paginas, giugno 1998) - per un bambino di sei anni è 9 centimetri meno della media internazionale. L'altezza media nelle zone rurali è quasi 6 centimetri meno di quella delle zone urbane. Niños y niñas sono più piccoli perchè sono meno nutriti: l'indice di denutrizione cronica per la popolazione infantile delle zone rurali tocca il 67%. Nelle città esso si ferma a un più modesto (ma pur sempre altissimo) 35%. In questi dati c'è una prima spiegazione alle continue migrazioni dalle zone rurali verso le città e, in particolare, verso Lima.
Gli adulti non trovano occupazione, ma in compenso lavora il 16,7% della popolazione con meno di 15 anni (sempre in nero e, sovente, in attività illecite); ciò significa che almeno 1,2 milioni di bambine e bambini non crescono come la loro età richiederebbe.
La gravità delle condizioni sociali trova una spietata conferma nella situazione sanitaria del paese. "La peste bubbonica, la malaria, il colera e altre malattie infettive stanno facendo strage in Perù. Negli ultimi anni si sono inasprite la peste nel nord e la malaria prodotta dal Plasmodium falciparum sulla costa e nella selva. La tubercolosi è un problema (...) e si stimano in poco più di 60 mila i casi di Aids. Le cause che tra il 1991 e il 1996 provocarono 655.548 casi di colera non sono state rimosse e le infezioni diarroiche imperversano a causa delle negligenze nel campo dell'educazione igienica e del risanamento ambientale. Allo stesso modo, gli indicatori sanitari collocano il paese tra i più arretrati dell'America Latina" (Marcos Cueto, El regreso de las epidemias, Lima 1997).

SENZA UNA DIMENSIONE UMANA
Padre Juan Julio Wicht divenne famoso ai tempi del sequestro emeretista dell'ambasciata giapponese: si rifiutò di essere liberato per rimanere assieme agli altri ostaggi.
Lo incontriamo all'Università del Pacifico dove insegna. Abbiamo visto che a Lima la ricchezza più eclattante e la miseria più disperata distano poche fermate di autobus. Dove stanno dunque i successi economici che tanto inorgogliscono il governo Fujimori? Cerchiamo di farci spiegare queste contraddizioni da padre Wicht, che è professore di macroeconomia. "Purtroppo quello che lei dice è vero. Il modello neoliberale di Fujimori ha messo ordine alla finanza pubblica e ai prezzi, ma non ha risolto il problema dello sviluppo". Questa situazione sociale potrebbe far riesplodere la violenza terroristica? "Sono sicuro che la maggioranza del popolo peruviano rifiuta la violenza. Però la disperazione può far rinascere il terrorismo".
L'analisi del professor Wicht non si discosta da quella di Javier Pérez de Cuéllar. "Non bastano - ci dice l'ex-segretario generale dell'Onu e attuale leader di "Union por el Perú" - i dati sul prodotto interno lordo e sull'inflazione per gridare al successo. Il programma economico di Fujimori non dà la necessaria attenzione all'aspetto sociale. Educazione, salute, alimentazione non sono delle priorità. Insomma questo programma manca di una dimensione umana".
Dimensione umana reclamata dai manifestanti che in questi mesi si sono più volte ritrovati per protestare contro Fujimori e il suo governo. Lo scorso agosto, quando il Congresso bocciò il referendum che voleva impedire la ricandidatura del presidente, i cartelloni innalzati dagli studenti in piazza Bolivar dicevano "0% de inflación, 100% de pobreza". Una affermazione esagerata, ma neanche troppo. Il Perú di oggi risponde (forse) ad alcuni requisiti economici, ma certamente non alle esigenze minime del suo popolo.

Paolo Moiola


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