America Latina ()
Reportage (1996)

IL CAFFÈ È SEMPRE AMARO

La nazione più piccola e popolata del Centro America vive una stagione di disincanto.
La disoccupazione tocca il 42%. Almeno 200 mila contadini sono ancora senza terra.
Il presidente Armando Calderón Sol è «sospettato» di simpatie
per il maggiore D’Aubuisson (mandante dell’omicidio di mons. Romero).
E molti dicono: «Gli Stati Uniti sono i veri padroni del paese».

di Paolo Moiola

San Salvador.
Dalla terrazza de «El Bocadito» (Il bocconcino) si ammira un bel panorama sulla capitale ed i rilievi vulcanici che la circondano.
«Ricordo - a parlare è Elisabeth Cubias Medina, giovane avvocato e professore all’Università centroamericana di San Salvador - che, durante la guerra, da questo stesso locale vedevamo i bagliori degli spari. Non stupitevi di quello che vi dico. Si veniva qui, nonostante tutto. Era un tentativo per dimenticare, almeno per qualche ora, la realtà della guerra».
San Salvador appare una città molto americanizzata nel suo aspetto esteriore. Le luci e le insegne più vistose sono, infatti, quelle dei locali delle grandi catene di ristorazione nordamericane: Mc Donalds, Burger King, Pizza Hut, Wendy’s. «Non lasciatevi ingannare - avverte Elisabeth -. La città sembra ricca, ma è solo apparenza. Il consumismo “made in Usa” che vedete nei locali si limita alla comida».
«San Salvador ed altre città centroamericane - ha scritto recentemente la rivista nicaraguense Envío - si stanno convertendo in lussuose piazze commerciali dove si può comprare qualsiasi prodotto, per sofisticato o superfluo che sia, ma assolutamente fuori della portata di gran parte dei centroamericani, cui non resta che l’effimero piacere di contemplare quei prodotti in vetrina».
La capitale è assillata da gravi problemi di delinquenza. Ricordo che una mattina, uscito dalla macchina e direttomi con passo spedito verso l’entrata di un hotel, fui rincorso ed intimato di fermarmi da uno dei tre poliziotti armati di mitra appostati fuori dell’albergo. Nei quartieri dei ricchi (la cosiddetta «zona rosa») i muri di cinta delle abitazioni sono adornati con filo spinato e «spesso vi fanno passare la corrente elettrica». Durante gli stop ai semafori, poi, gli stessi salvadoregni vi consigliano di chiudere bene porte e finestrini dell’auto, per evitare di venire assaliti da bande armate.
Il nuovo corpo della Polizia nazionale civile è ancora carente di uomini, mezzi ed organizzazione. Mentre sulle cause dell’incremento della delinquenza comune pesa il sospetto di un coinvolgimento di ex appartenenti ai famigerati corpi di sicurezza («Guardia Nacional», «Policia de Hacienda» e «Policia Nacional», oggi soppressi) o di ex guerriglieri.

LA MORTE SULL’USCIO DI CASA
Al piccolo Salvador 12 anni di guerra sono costati migliaia di morti. Le cifre al riguardo sono discordanti, ma in ogni caso impressionanti: si va da 60 mila a 100 mila vittime.
Racconta Elisabeth: «Non ho paura della morte. L’ho vista in faccia per anni. Ho visto morire molti dei miei amici. Con un’amica ho dovuto estrarre una pallottola dal ventre di un ragazzo. Una volta fummo costretti a bruciare tre cadaveri, che da ormai dieci giorni erano putrescenti a pochi passi dall’uscio di casa mia. Io stessa ho rischiato di morire per tre volte».
Il racconto è di quelli forti, ma il tono di Elisabeth si mantiene pacato. Continua: «Un giorno io e due amici stavamo chiacchierando al bancone di un bar. All’improvviso sentimmo un frastuono come di spari ravvicinati. Senza pensarci sopra un secondo tutti e tre ci buttammo per terra. Quella volta, però, non si trattava di spari, ma di botti innocui, botti d’allegria. Eravamo pancia a terra; ci guardammo negli occhi e scoppiammo a ridere...».

LE RIMESSE DEGLI «AMERICANI»
Nonostante la crescita del Prodotto interno lordo (Pil), la situazione economica del paese rimane grave e addirittura drammatica per i ceti popolari. La disoccupazione interessa più del 42% della popolazione attiva.
D’altra parte chi ha la fortuna di avere un’occupazione vede quasi sempre calpestati sia i propri diritti che la propria dignità di lavoratore. Nelle maquiladoras (le fabbriche di assemblaggio a capitale straniero) i lavoratori (in maggioranza donne) ricevono un salario mensile di poco superiore ai 130 dollari. Ancora peggio stanno i braccianti agricoli: chi tra loro riesce a trovare lavoro nei campi come raccoglitore di caffè o di canna da zucchero, si deve accontentare di una paga inferiore ai 3 dollari al giorno.
Il salario minimo del settore privato è attualmente di 1.155 colones mensili (pari a circa 132 dollari), ma si riduce a meno della metà nell’agricoltura (dov’è tuttora impiegato il 35% degli occupati). È stato però calcolato che per vivere dignitosamente, cioè per soddisfare almeno i bisogni primari, una famiglia avrebbe necessità di 3.720 colones.
Negli anni della guerra, il paese è riuscito a sopravvivere soprattutto grazie ai soldi mandati in patria dal milione di salvadoregni che vivono all’estero, principalmente negli Usa (ma anche in Italia). Ancora oggi le rimesse in dollari degli emigrati negli Stati Uniti sono pari a circa 900 milioni di dollari all’anno e rappresentano la principale fonte di sostegno per milioni di compatrioti. Per avere un’idea della rilevanza della cifra, si consideri che il valore dell’export del caffè (il principale prodotto del paese) raggiunge soltanto i 600 milioni di dollari.
Dopo le rimesse degli emigrati, ci sono gli aiuti americani. Questi arrivano a 260 milioni di dollari l’anno, ponendo il Salvador al quarto posto tra i paesi sovvenzionati dagli Usa. «Gli Stati Uniti - ha dichiarato in un’intervista padre Estrada, rettore dell’Università centroamericana - sono i padroni della “fattoria” e non possiamo prescindere da questo dato fondamentale, perché questa dipendenza economica genera altre dipendenze».
L’ingerenza degli Stati Uniti sul Salvador è sempre stata fortissima. Milioni di dollari sono stati versati ogni anno sia ai governi che ai militari. Accanto a questi interventi ufficiali, ci sono stati quelli più ufficiosi della Cia. Sin dal 1962, con l’apparizione dell’Organizzazione democratica nazionalista (Orden), i servizi segreti americani hanno preso parte alla creazione degli squadroni della morte, creando un clima ideale per la cosiddetta «guerra a bassa intensità».

LE 14 FAMIGLIE
Come in tutta l’America centrale, il problema economico principale è legato al possesso della terra.
In Salvador la concentrazione della proprietà fondiaria era tale che 14 famiglie possedevano la quasi totalità delle terre coltivabili.
Nelle aziende agricole dei latifondisti lavoravano la maggioranza dei campesinos salvadoregni. Si trattava, per lo più, di lavoratori stagionali, impiegati per pochi mesi all’anno e con salari da fame.
Nel 1980, su insistenza degli Stati Uniti, la giunta militare presieduta da Napoleon Duarte varò un programma di riforma agraria in tre fasi.
Gli Stati Uniti erano pienamente consapevoli che l’ingiusta distribuzione della terra era una delle fonti principali di malcontento del popolo del Salvador. Credevano inoltre che accontentare i contadini sarebbe stata la mossa vincente per privare i movimenti popolari e rivoluzionari della base di consenso più importante. L’amministrazione statunitense voleva a tutti i costi evitare che si verificasse una situazione simile a quella del vicino Nicaragua, dove i sandinisti, forti dell’appoggio dei campesinos, erano saliti al potere.
Nel 1987 risultava «espropriato» (in realtà si era trattato di una compravendita, in quanto lo Stato aveva comprato le terre dai proprietari a prezzi reali) il 22% della terra coltivabile, distribuita a 525 mila contadini e alle loro famiglie. Ma i campesinos senza terra erano ancora 1.800.000! Inoltre la riforma aveva lasciata pressoché intatta l’oligarchia del caffè (oligarquia cafetalera).
Per riprendere quella riforma agraria, si dovettero aspettare gli accordi di pace del 1992. In base ad essi, si assicurava il trasferimento ai contadini dei fondi che superavano i 245 ettari e delle terre di proprietà dello stato.
Quanti sono i campesinos salvadoregni attualmente senza terra? Si parla di 200 mila persone, ma con tutta probabilità questa cifra è sottostimata.

IL RITRATTO DI D’AUBUISSON
In un recente articolo della rivista americana National Geographic, a proposito dell’attuale presidente della repubblica, il giornalista Mike Edwards così scrive: «Calderón Sol vive con un fantasma; egli fu infatti un protetto di Roberto D’Aubuisson, il maggiore morto nel 1992. D’Aubuisson è generalmente ritenuto il capo degli squadroni della morte. Quando ho incontrato il presidente Calderón nella sede di Arena, un ritratto di D’Aubuisson pendeva dal muro. Questi, fondatore del partito, non è stato mai sconfessato». Anzi! A fine agosto, come riferisce la rivista Envío, il presidente salvadoregno si è recato a rendere omaggio alla tomba di D’Aubuisson, in occasione dell’anniversario della sua nascita.
Vale la pena di ricordare che la «Comisión de la Verdad para El Salvador» (Commissione per la verità sul Salvador), organismo delle Nazioni Unite, ha accertato che il maggiore D’Aubuisson fu, tra l’altro, il mandante dell’assassinio di mons. Romero.
Nonostante i suoi pessimi natali ed una storia dominata dalla violenza, Arena, formazione politica ricca e ben organizzata, continua a reggere le sorti del Paese, sia a livello nazionale che locale. Ciò è dovuto ad una pluralità di motivi.
Nell’aprile del 1994 non si recò alle urne il 56% degli aventi diritto. Mentre sul voto del rimanente 44% grava la certezza di rilevanti brogli elettorali. All’epoca, un articolo de El Salvador Proceso, il settimanale dell’Università centroamericana, così si espresse: «Le elezioni si sono trasformate in un fiasco enorme. La quantità e la gravità delle irregolarità che si sono verificate difficilmente consentono di parlare di elezioni libere e limpide. Ancora una volta la dignità del popolo salvadoregno è stata vilipesa. È difficile condividere l’idea che le consultazioni elettorali siano state accettabili in quanto più democratiche che in passato. Se qualcosa si può condividere è che esse sono state meno antidemocratiche, ma non per questo più accettabili».
L’ultima spiegazione sull’egemonia di Arena me la dà Elisabeth: «L’opposizione, incarnata soprattutto dal Frente Farabundo Martì, non ha ancora imparato a combattere nelle aule parlamentari. Dopo 12 anni di guerra civile, passare dalle armi al confronto dialettico non è operazione così banale come qualcuno potrebbe pensare».

Paolo Moiola

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