America Latina (settembre 2004)
Perù 2004 - Dopo 3 anni di presidenza Toledo

ALEJANDRO IL PICCOLO

Il peruviano Alejandro Toledo gode di un primato poco invidiabile: il più basso indice di gradimento tra tutti i presidenti dell'America Latina. Arriverà alla fine del suo mandato? Cosa non ha funzionato? Le politiche ultraliberiste messe in atto dal suo governo non spiegano tutto. Questa volta c'è un elemento in più, inusitato: la questione morale.

di Paolo Moiola

La domanda principale è semplice, semplice: resisterà Alejandro Toledo fino al termine del suo mandato, previsto per il luglio 2006? Probabilmente sì, nonostante gli scandali, gli sbagli, i cattivi consiglieri.
Secondo un'inchiesta (il "Barómetro de Opinión") dell'Università di Lima, Alejandro Toledo aveva il 9,5 per cento di approvazione in marzo, l'8,7 in aprile e il 7,8 in maggio.
Di solito i sondaggi vanno presi con beneficio di inventario, ma in questo caso tutti gli istituti di ricerca arrivano alle medesime conclusioni. Secondo il "Barómetro Iberoamericano de Gobernabilidad", Alejandro Toledo è il presidente con la minore approvazione in America Latina (1). Eppure, come ha scritto Parcy Medina, segretario generale di Transparencia, "il paese non è in condizioni di andare ad elezioni anticipate, né gli attori politici sono preparati per una simile eventualità".

IL "CHINO" GIOCA DA TOKYO
Tra i politici si agita molto anche l'ex presidente Alberto Fujimori. Domenica 29 agosto il quotidiano fujimorista La Razón titolava a piena pagina: "Fujimori crece en todo el país". Com'è facile prevedere, El Chino non lascerà (volontariamente) l'esilio giapponese per rientrare in Perù, dove gli si aprirebbero le porte del carcere. È però vero che l'ex presidente gode di uno zoccolo duro di sostenitori (attorno al 18 per cento, percentuale comunque sorprendente), soprattutto tra i ceti popolari, precedendo Alan García, leader dell'opposizione e dell'Apra, il partito più organizzato.
"Tuttavia - ci assicura Carlos Basombrío, sociologo, per quasi 2 anni viceministro degli interni nel governo Toledo -, Fujimori non potrà partecipare alle elezioni presidenziali. Quanto ad Alan García potrebbe vincere il primo turno, ma al ballottaggio perderebbe. E poi non dimentichiamo che, in Perù, è sempre possibile l'emergere di outsiders, cioè di candidati fuori dal giro usuale".
Ma come si spiega questo stillicidio di sondaggi sulla presidenza Toledo? Perché si discute tanto di elezioni e di candidati presidenziali? Cosa non ha funzionato nel Perù del dopo-Fujimori?

LA MACROECONOMIA NON RIEMPIE LA PANCIA
Gli indicatori macroeconomici parlano di un paese virtuoso (nell'ottica - è bene ricordarlo - dei parametri utilizzati dall'economia liberista): inflazione bassa, moneta nazionale (il sol) stabile, investimenti stranieri in aumento, conti pubblici in ordine, tasso di crescita elevato.
"Questo significa - si chiede Carlos Basombrío - che non siamo più poveri? Che i problemi sono superati? Certo che no. Ci vorranno parecchie generazioni per rendere il paese più giusto e con meno diseguaglianze".
Il ministro dell'economia Pedro Pablo Kuczynski tiene stretti i cordoni della borsa e per lo stato sociale non trova mai le risorse. "Non abbiamo fondi sufficienti", ripete con monotonia quando i peruviani domandano scuole pubbliche adeguate ed ospedali dove si possa curare anche chi non ha un lavoro formale e un reddito stabile (privilegio riservato a non più del 30 per cento della popolazione).
Durissimo al riguardo è Wilfredo Ardito Vega, avvocato dell'Instituto de Defensa Legal (Idl): "Negli ospedali pubblici, se non hai soldi, non ti curano. Devi pagare per il letto, per le analisi, per le medicine. Se una persona deve essere operata di appendicite ma non ha denaro, semplicemente muore. Quanto alle scuole dello stato, la qualità del servizio è bassissima. Per questo chi può manda i propri figli nei collegi privati, che sono proliferati a Lima e in tutte le città".
Guardiamo allora alle cifre che dipingono il Perù della gente e non quello della finanza internazionale: il tasso ufficiale di povertà supera il 54 per cento; nei dipartimenti più poveri, la gente sopravvive con mezzo dollaro al giorno.
Padre Gastón Garatea, presidente della "Mesa de concertación para la lucha contra la pobreza", non usa un linguaggio edulcorato per descrivere la situazione: "Un popolo non può trascorrere tutta la propria esistenza in ginocchio; questo è ciò che accade a troppi peruviani che vivono umiliati da quel fenomeno spaventoso che è la povertà, una piaga che ci accompagna da sempre". In ginocchio (de rodillas), ecco un termine da cui partire per tentare di spiegare quanto avvenuto in aprile.

QUEL GIORNO DI APRILE
Il 27 aprile 2004 Fernando Cirilo Robles Callomamani, sindaco di Ilave, cittadina aymara nel dipartimento di Puno, non lontana dalla frontiera boliviana, è stato linciato in strada da una folla inferocita che lo accusava di nepotismo e corruzione.
Come si spiega una follia collettiva di tali proporzioni? Sono state addotte varie ragioni, tutte plausibili.
In primis, l'abbandono e la povertà in cui versano intere regioni del paese, alla luce di una logica politica per la quale si confonde Lima (dove vivono 8 dei 26 milioni di peruviani) con il Perù. In secondo luogo, la crescente delegittimazione delle istituzioni municipali come espressione locale della crisi del governo centrale. In ultimo, la cosiddetta "frammentazione della corruzione", generatasi dopo il collasso del regime totalitario di Fujimori.
Già, la corruzione. Il problema è molto sentito e di non facile soluzione. Secondo un'inchiesta (2), il governo più corrotto fu quello di Alberto Fujimori, seguito a ruota da quello di Alan García (presidente dal 1986 al 1990) e dall'attuale.
Se è vero che il 65 per cento dei peruviani sarebbe favorevole a una rinuncia del presidente Toledo (3), chi potrebbero eleggere al suo posto? I candidati in corsa sono tutt'altro che immacolati. Tralasciando Alberto Fujimori per i motivi noti, i più accreditati nella competizione presidenziale sarebbero il citato Alan García e Lourdes Flores (del partito di centro-destra Unidad Nacional).
Ad alzare il livello della competizione provvederebbe Valentín Paniagua, stimatissimo presidente durante il governo di transizione (dopo la caduta di Fujimori, dal novembre 2000 al luglio 2001), ma è un candidato senza un forte partito alle spalle.

E PER LE VITTIME DEL CONFLITTO NON CI SONO SOLDI...
A Paniagua si deve, tra l'altro, la nascita della "Comisión de la Verdad y Reconciliación Nacional" (Cvr), che esattamente un anno fa - il 28 agosto 2003 - ha consegnato il rapporto finale di 2 anni di lavoro investigativo (10 volumi per un totale di 8 mila pagine) sul conflitto armato nel paese andino.
Un rapporto sconvolgente. "Secondo la Commissione - ha spiegato Salomón Lerner Febres, presidente della Cvr - il numero più probabile di vittime supera i 69 mila peruviani morti o desaparecidos per mano di organizzazioni sovversive o di agenti dello Stato". Questo significa che, nei vent'anni della violenza (1980-2000), le vittime furono il doppio di quanto si pensava (4).
Il rapporto della Commissione ha attribuito la responsabilità delle morti
a Sendero Luminoso (54%) e all'Mrta (1,5%) e il restante - da qui le polemiche - agli apparati statali, cioè alle forze armate e alla polizia.
Queste conclusioni non sono piaciute a tutti. "In alcuni ambienti di Lima - ci spiega Wilfredo Ardito -, si è convinti che i crimini commessi dai militari negli anni '80 e '90 furono "lamentabili, però necessari per chiudere la partita con il terrorismo". Allo stesso modo, nessuno ha affermato chiaramente che esercito e polizia nazionale dovrebbero chiedere pubblicamente perdono per le violenze commesse durante il conflitto armato".
Il quotidiano El Comercio, tradizionalmente conservatore (ancorché rispettabile), ha preso posizione e difeso il rapporto della Commissione. "Memoria e giustizia - ha scritto - sono indissolubili per chiudere le ferite di un passato doloroso segnato dalla violenza terrorista". Tuttavia, il giornale di Lima, quando si parla delle colpe dello stato, è sempre piuttosto cauto: la guerra civile è stata causata dalla violenza terrorista di Sendero Luminoso e dell'Mrta e da - citiamo testualmente - "alcune reazioni eccessive delle forze armate e della polizia" (5).
A una anno dalla presentazione del rapporto, nessuna delle raccomandazioni della Commissione ha trovato seguito, soprattutto per quel che concerne le riparazioni (economiche, ma non solo) alle vittime. Che furono, nella stragrande maggioranza, peruviani poveri, contadini e indigeni, quasi sempre di lingua quechua, in larga parte analfabeti, storicamente discriminati ed esclusi. Per questo, si legge nel rapporto della Commissione, dovrebbero essere queste persone a "ricevere attenzione preferenziale da parte dello Stato".
Un suggerimento finora caduto nel vuoto. Tanto che, nel suo tradizionale discorso alla nazione del 28 luglio, il presidente Toledo non ha fatto alcuna menzione alla questione. Come prevedibile, a mo' di giustificazione, è stato detto che non ci sono soldi in cassa. Però, il parlamento peruviano è il più costoso tra quelli dei 6 paesi andini. Per l'organizzazione della recente "Copa América" di calcio si è speso molto denaro pubblico per la ristrutturazione degli stadi. E soprattutto, nel 2003, la spesa militare ha raggiunto il 2,3 per cento del Prodotto interno lordo.

IL DUBBIO
Il fallimento di Toledo è stato facilitato dal suo essere "cholo"? "Il mio - risponde Wilfredo Ardito Vega - è un paese molto razzista. Per molti è difficile accettare che ci sia una persona india come presidente. Questo pregiudizio non è però assoluto. Una persona può dimostrare intelligenza, sensibilità, capacità ed essere accettata. Gente come me non critica Toledo perché è un indio, ma per le tante cose assurde che ha fatto e che continua a fare".
Aggiunge Carlos Basombrío: "Le umili origini di Toledo sono state uno dei motivi per i quali i peruviani nel 2001 lo elessero. Era un uomo come loro, uno come tutti. Oggi, quello che la gente non gli perdona è che Toledo li abbia traditi. Non può chiudere gli occhi davanti al suo essere frivolo e falso. E soprattutto non può perdonargli un comportamento tanto lontano dalle sofferenze della maggioranza dei cittadini di questo paese".

Paolo Moiola
(per "Latinoamerica"/ Copyright)

NOTE:
(1) Studio condotto tra aprile e maggio 2004. L'approvazione più alta va al presidente argentino Néstor Kirchner.
(2) Indagine "Imasen" per la rivista Ideele, aprile 2004.
(3) Sondaggio "Datum", giugno 2004.
(4) Il numero indicato è di 69.280 vittime. In Italia, una sintesi commentata del rapporto finale della "Commissione per la verità e la riconciliazione" è stato pubblicata, a cura di Gianni La Bella, con il titolo di Perù. Il tempo della vergogna, Emi, Bologna 2004.
(5) Quotidiano El Comercio del 29 agosto 2004.


Invia a un amico