America Latina (settembre 2001)
2001 - Come sarà il Perù di Toledo?

IL «RITORNO» DI PACHACUTEC

Dallo scorso luglio, Alejandro Toledo, detto «el Cholo», è il nuovo presidente del Perù. Arriva al potere dopo aver sconfitto l'ex presidente Alan Garcia, vera sorpresa delle ultime presidenziali. L'economista indio trova un paese prostrato da 10 anni di dittatura fujimorista, ma voglioso di ritrovare la propria strada. Nella sua faretra ci sono buone frecce, ma anche le incognite sono numerose e pesanti. In primis, la pesante situazione economica e il ruolo di Washington.

di Paolo Moiola

Lima, 8 aprile 2001. - Davanti all'hotel Sheraton di Paseo de la República si sono radunati i sostenitori di Alejandro Toledo. Ci sono delle transenne per tenerli a debita distanza. Sono coloriti e festanti, ma non tanti come in altre occasioni. Le proiezioni hanno già sentenziato che il candidato di «Perù Posible» non ce l'ha fatta a vincere al primo turno. Anzi, è rimasto ben al di sotto della soglia del 50% dei suffragi.
Entriamo nel lussuoso albergo, dove il comitato elettorale di Toledo ha dato appuntamento ai giornalisti. In fondo alla grande sala delle conferenze c'è già un muro di telecamere e riflettori. Sui due grandi schermi posti a lato scorrono le immagini dei telegiornali e le proiezioni dei risultati nei 24 dipartimenti del paese.
Arriva verso le 22 con passo da condottiero, applaudito fragorosamente dalla sua claque. «Toledo presidente! Toledo presidente!» gridano in coro. È accompagnato dai suoi uomini di punta, ma manca la moglie Eliane Karp (donna di grande carisma e cultura). Capelli neri e fluenti, il viso da indio segnato da qualche vistosa ruga e dalle occhiaie (regalo dello stress e della fatica), Toledo ringrazia gli elettori e gli avversari, ma si capisce che questa sera avrebbe preferito festeggiare la conquista della presidenza e non il ballottaggio.

PERDITA DI CONSENSO
Il 9 aprile del 2000 Alejandro Toledo aveva ottenuto il 40,24% dei voti contro il 49,87 di Fujimori. Ma le elezioni erano state viziate da brogli e irregolarità; per molti analisti il candidato di «Perù Posible» aveva in realtà superato il 50% e sarebbe dovuto diventare il nuovo presidente del Perù. Appena un anno dopo, in elezioni pulite, Alejandro Toledo non solo non ha vinto al primo turno, ma si è trovato con meno consensi (36,4%). Come mai l'eroe della lotta contro Fujimori questa volta non ha convinto la maggioranza dei peruviani?
C'è, in realtà, più di un motivo. All'inizio, è l'incapacità di Toledo di dare risposte convincenti su alcune sue vicende personali. «È indubbio - commenta la prestigiosa rivista Ideele - che occorre ripettare la vita privata delle persone. Tuttavia, nel caso di qualcuno che aspira a guidare una nazione che esce da una crisi morale e di credibilità senza precedenti, questo limite diventa più incerto. Così, noi facciamo fatica ad indentificarci con una persona che si rifiuta ripetutamente di sottomettersi a una prova del Dna per determinare una paternità che una bambina reclama». La presunta figlia illegittima (ormai quattordicenne) si chiama Zaraí.
C'è poi la vicenda del misterioso sequestro (16 ottobre 1998) in cui Toledo fu drogato (fenobarbital e cocaina) e filmato con tre prostitute. Infine, a turbare i sogni presidenziali, arriva Alan Garcia e il suo successo. Assolutamente imprevedibile.

L'INCREDIBILE ALAN
Alan Garcia fu presidente del Perù dal 1985 al 1990, quando aveva appena 36 anni. Era un giovane socialista con qualche idea coraggiosa (nazionalizzò le banche, si rifiutò di pagare il debito estero, aumentò i salari), ma la sua presidenza fu segnata dal crollo economico (inflazione a quattro cifre, lunghe file per comprare i generi di prima necessità) e dal terrore senderista. In più il suo governo divenne famoso per la corruzione. I piloni della metropolitana di Lima sono lì a testimoniare una megatruffa che coinvolse anche Bettino Craxi e la cooperazione italiana. Non da ultimo, su Garcia pesa anche la responsabilità di aver «inventato» (era il 1990) Alberto Fujimori, lo sconosciuto ingegnere agrario che di lì a poco sarebbe diventato presidente.
Alan, tornato in patria dopo quasi 10 anni di esilio (dorato) tra Parigi e Bogotà, ha subito conquistato una grossa fetta di peruviani. Com'è stato possibile il miracolo? L'uomo è un incantatore di folle: abilissimo con le parole, simpatico, affabile. A chi lo sostiene tu fai presente quello che fece durante i 5 anni della sua presidenza. Le risposte non lasciano molto spazio a repliche: «Mas vale un ladron conocido que un ladron por conocer». Insomma, un ladro conosciuto (Alan Garcia) è meno pericoloso di uno che non si conosce (Toledo o altri)... Il partito di Garcia, l'APRA («Alianza Popular Revolucionaria Americana»), era ridotto al lumicino. Con il suo ritorno ha guadagnato ben 28 seggi (su 120) e potrà far sentire la propria voce in un Congresso dove nessuna formazione ha la maggioranza.

LE PROMESSE DEL «CHOLO»
Nelle settimane successive al primo turno, Toledo sembra in grave affanno. A fine aprile, riceve una pugnalata inattesa anche da Alvaro Vargas Llosa (figlio del notissimo scrittore Mario Vargas Llosa), fino allora suo stretto collaboratore. Il giornalista accusa il candidato di «Perù Posible» di slealtà e, apparendo in televisione nella trasmissione di un altro noto giornalista (Jaime Bayly), invita la popolazione a votare scheda bianca.
Tuttavia, nonostante scivoloni e incertezze, al secondo turno (il 3 giugno) Toledo riesce a coronare il suo sogno: vince le elezioni e diventa il primo presidente non bianco del Perù dopo Atahualpa (1), l'ultimo sovrano inca.
Nei suoi discorsi davanti al parlamento e al Machu Picchu (28-30 luglio), il neo-presidente usa parole suadenti e impegnative. Promette che l'obiettivo primario del suo governo sarà la lotta frontale alla povertà e alla miseria. Per uscire da questa condizione, spiega Toledo, è necessario fornire a tutti i peruviani un lavoro dignitoso, una educazione di qualità e un'efficace sistema sanitario.  
Questi ambiziosi obiettivi potranno essere raggiunti meno difficilmente se si eviterà di sprecare preziose risorse negli armamenti. In Cile, Toledo propone (con apparente successo) ai presidenti sudamericani del «Gruppo di Rio» l'immediato congelamento di tutti gli acquisti di armi offensive.
Il suo programma prevede anche la ristrutturazione integrale delle forze armate e della polizia nazionale. Verrà nominata un'autorità di alto livello che si incaricherà di investigare su tutti i casi di corruzione; un'altra avrà il compito di combattere il narcotraffico e il riciclaggio di denaro. Il neo-presidente promette inoltre che non ci sarà un utilizzo politico dei programmi sociali come quelli del «vaso de leche» e dei «comedores populares».
Nella splendida cornice della cittadella inca di Machu Picchu, Toledo rimette i panni di Pachacutec (2), il sovrano «riformatore» a cui egli ama richiamarsi. Parlando da indio agli indios, promette che farà ogni sforzo per promuovere e proteggere l'identità indigena. Non soltanto in Perù, ma in tutti gli stati della comunità andina (Bolivia, Colombia, Ecuador, Venezuela). Annuncia il ritorno delle lingue quechua e aymara nel sistema educativo nazionale. In questo campo, potrà essere aiutato anche dalla moglie Eliane che, oltre ad essere antropologa ed esperta di cultura inca, parla gli idiomi indigeni.

LA CHIMERA DI UN LIBERISMO DAL VOLTO UMANO
La situazione economica del Perù è molto pesante. I dati ufficiali del 2000 parlano di un debito estero pari al 51,1% del Prodotto interno lordo (circa 27.500 milioni di dollari). La povertà è cresciuta dal 50,7% della popolazione totale nel 1997 al 54,1 nel 2000. In questo ultimo anno, 13,9 milioni di peruviani (su un totale di 25.661.690) hanno guadagnato meno di 2 dollari al giorno. Il tasso di disoccupazione è del 9%, ma questo è un dato poco significativo. Per comprendere l'entità del problema, occorre guardare al fenomeno della sottoccupazione. Nel Perù urbano il tasso di sottoccupazione è del 43,4%: 3.378.300 persone hanno un impiego precario o informale.
Al riguardo è famosa l'affermazione di Pedro Flores Polo, ex ministro del lavoro fujimorista. Questi arrivò a dire che il Perù possiede i taxisti «più istruiti del mondo», alludendo al fatto che migliaia di professionisti (diplomati o laureati) sono costretti a guidare i taxi a causa della mancanza di lavoro.
In campagna elettorale, Toledo ha parlato più volte di «un'economia di mercato dal volto umano». Questo non significa che il suo governo non seguirà la filosofia neo-liberista. Toledo si è formato nelle università nordamericane (San Francisco, Stanford, Harvard) ed è stato un funzionario della Banca mondiale. È improbabile che ripudierà gli insegnamenti di maestri e colleghi. La conferma viene dal favore con cui Washington ha seguito (e, per certi versi, favorito) l'ascesa del «Cholo». Per non dire della nomina di Pedro Pablo Kuczynski, uomo di sicura fede neoliberista, a ministro dell'economia.

UNA COMMISSIONE E 20 ANNI DI TRAGEDIE
Se il problema economico sarà il primo banco di prova della presidenza Toledo, non secondario sarà l'atteggiamento verso altre questioni. Una di queste è la «Commissione della verità», organismo istituito da Valentin Paniagua, il presidente ad interim che in meno di un anno (novembre 2000 - luglio 2001) ha saputo guadagnarsi uno straordinario consenso in tutti i settori della società peruviana. La Commissione, presieduta dal rettore dell'Università cattolica Salomón Lerner, avrà un compito difficile ed estremamente delicato: indagare sulle violenze avvenute nel paese negli anni tra il 1980 e il 2000. In questo lungo periodo, il Perù ha conosciuto la guerra civile (causa di 30.000 morti) e continue violazioni dei diritti umani (soprattutto nei 10 anni di Fujimori). L'organismo dovrà accertare fatti e responsabilità. Toledo ha già promesso che difenderà l'autonomia della Commissione e la sosterrà finanziariamente. In questa prospettiva, è un buon segno che il ministero dell'interno sia stato assegnato a un personaggio come Fernando Rospigliosi, stimatissimo giornalista che per anni si è battuto contro la dittatura e in difesa dei diritti umani.
Intanto, i protagonisti degli ultimi 10 anni per il momento hanno avuto destini diversi. Vladimiro Montesinos è rinchiuso nel carcere (per ironia del destino, da lui stesso fatto costruire!) della base navale del Callao, in compagnia di Abimael Guzmán (leader di Sendero Luminoso) e Victor Polay (Mrta). Alberto Fujimori è a Tokyo, dove racconta la sua verità attraverso un sito internet (3), in attesa di dare alle stampe la sua autobiografia. Riuscirà la giustizia peruviana a gestire un prigioniero tanto potente come il «Rasputin delle Ande»? Riuscirà Toledo ad ottenere l'estradizione di Fujimori?
A conti fatti, per il «Cholo» e il Perù la partita è molto difficile. Ma oggi, dopo 10 anni trascorsi sotto la dittatura di Fujimori e Montesinos, un intero popolo vive nella speranza che Toledo-Pachacutec riesca a dare seguito ad almeno una parte delle promesse fatte in campagna elettorale: più lavoro, più dignità, più giustizia.  
Paolo Moiola
(per "Latinoamerica"/ Copyright)

NOTE:
1)  Atahualpa, dodicesimo ed ultimo sovrano inca, incarcerato e ucciso dai conquistatori spagnoli di Pizarro (29 agosto 1533).
2)  Pachacutec, «il riformatore», nono sovrano della dinastia inca, quello che governò (1438-1471) sul territorio più vasto.
3)  Dal suo rifugio giapponese, Alberto Fujimori ha aperto un sito Web (www.fujimorialberto.com): meglio difendersi su internet che davanti ai giudici peruviani...



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