America Latina (giugno 2003)
Perù 2003 - Il rapido declino del presidente ToledoIL PERÙ TRADITO DAL SUO LIBERATORE
Davanti a scioperi, marce, blocchi stradali il governo di Alejandro Toledo ha risposto decretando lo stato di emergenza. Gli eventi peruviani stanno a dimostrare (ancora una volta) che non è possibile coniugare una politica economica di stampo neoliberista con le esigenze basilari di una popolazione povera. Toledo saprà recuperare la fiducia dei peruviani che appena due anni fa lo scelsero come presidente di un paese prostrato, ma fiducioso? Che fine ha fatto l'uomo che si vantava delle proprie origini indie?
di Paolo Moiola
La storia ricorda scioperi di minatori, controllori aerei, netturbini. La crisi peruviana scoppia lunedì 12 maggio con «la huelga de los maestros», lo sciopero dei docenti. A Piura, Cajamarca, Pucallpa, Huancayo, Cusco, Lima migliaia di maestri scendono nelle strade per reclamare un aumento salariale non inferiore a 210 soles (1) al mese. Il governo ne offre 100.
A guidare la protesta dei maestri è il Sutep («Sindicato unitario de trabajadores de la educatión peruana»), un'organizzazione sindacale vicina a «Patria Roja», il partito comunista del Perù. Questa sua forte connotazione partitica la rende molto attaccabile, sia da parte del governo che dei media. Questi ultimi, in particolare, non esitano a descrivere alcuni dirigenti del sindacato come contigui a «Sendero luminoso» (2).
Comunque sia, le recriminazioni dei maestri sono sacrosante: la scuola pubblica è allo sfascio e i docenti ricevono stipendi di 600 soles (170 euro). Sul terreno degli stipendi l'esecutivo di Toledo è facilmente attaccabile a causa della proprio comportamento incoerente ed arrogante.
«Gli stipendi assegnati alla cupola del governo e del Congresso - scrive in un editoriale il settimanale Caretas -, astronomici in termini nazionali, non risolverebbero alcun problema se fossero tagliati, ma sono lì a dimostrare una grave mancanza di sensibilità politica». Nel Perù di Toledo un congressista riceve 25.000 soles al mese, un ministro 32.000, il presidente 42.000 (senza contare i numerosi benefits).
SE LA DEMOCRAZIA NON TOLLERA LE PROTESTE
I maestri fanno scuola. Scendono in sciopero i lavoratori della sanità pubblica («EsSalud») e quelli del potere giudiziario. La situazione precipita quando entrano in scena i lavoratori agricoli che bloccano con le maniere forti almeno 33 strade nazionali. Migliaia di persone rimangono ferme sui bus; quantità di merci vanno in avaria sui camion.
Alle 10.30 della notte di martedì 27 maggio, con le rughe quasi scolpite sulla faccia tirata, il presidente peruviano Alejandro Toledo appare in televisione per annunciare l'entrata in vigore su tutto il territorio nazionale dello stato d'emergenza per un periodo di 30 giorni. «Non possiamo permettere che vengano calpestati i principi più elementari della convivenza. La tolleranza ha un limite» dice il presidente.
«A mio giudizio - ha scritto Carlos Basombríos Iglesias dell'Instituto de defensa legal (Idl) -, la domanda corretta non è se il governo doveva dichiarare lo stato d'emergenza o non doveva farlo. La vera questione è come si sia potuti arrivare, in così poco tempo, a una situazione in cui Toledo abbia ritenuto che l'unica forma per mantenere l'ordine pubblico fosse attraverso una misura estrema di questo tipo».
Il 29 maggio nella città di Puno le manifestazioni degenerano nella violenza e uno studente universitario rimane ucciso. «Quello che in nessun modo può essere giustificato - scrive Basombríos - è che il governo abbia attribuito alle Forze armate la responsabilità dell'ordine pubblico».
Il 3 giugno, una settimana dopo la dichiarazione dello stato di emergenza, la confederazione nazionale dei lavoratori Cgtp («Confederación general de trabajadores del Perù») porta per le strade di Lima migliaia di persone, forse più di 20 mila.
La gente grida: «Toledo rinuncia. Per i bambini e per Dio!». Ma tra la folla trovano diritto di cittadinanza anche frasi più pesanti, parole che non si sentivano dai tempi del governo fujimorista: «Abajo la dictadura! Toledo asesino, el pueblo te repudia!».
Più realista è Mario Huamán, presidente della Cgtp, che a nome della confederazione chiede a Toledo il cambio della politica economica e della compagine di governo, oltre all'immediata sospensione dello stato di emergenza. «Abbiamo lottato - dice Juan José Gorriti, segretario generale della Cgtp - contro la dittatura e per la democrazia. Ora non possiamo tollerare che in una democrazia si dichiari lo stato d'emergenza per dare soluzione alle proteste popolari».
Nel frattempo, il governo cerca di raggiungere un accordo con i maestri attraverso la mediazione di monsignor Luis Bambarén Gastelumendi, vescovo cattolico molto noto e stimato. E il prelato fa il miracolo. Nella notte del 4 giugno si firma un complesso accordo tra sindacato e governo: 100 soles di aumento immediato ai maestri per arrivare al raddoppio dello stipendio entro il luglio del 2006.
Inoltre, per rispondere alle continue polemiche sui soldi percepiti dagli alti dignitari statali, il vicepresidente Raul Diez Canseco annuncia che le loro retribuzioni saranno ridotte. Mentre su Toledo il quotidiano La República ribadisce il concetto: «Abbassare il suo stipendio non risolverà i problemi del paese, ma sarà un gesto che la gente apprezzerà. I leaders debbono dare l'esempio per essere seguiti».
PRIMA L'ECONOMIA, POI (FORSE) LA GENTE
Argentina, Bolivia, Ecuador, Venezuela, Colombia... Tutta l'America Latina si dibatte in drammatiche convulsioni sociali, spesso al limite dell'implosione. Ma in Perù la situazione è diversa, perché non si accompagna a una grave crisi economica. Anzi, i dati economici sono confortanti: inflazione bassa, cambio stabile, economia e riserve in crescita, investimenti internazionali importanti (soprattutto nel settore minerario).
Si è detto che il governo di Toledo potrebbe fare la fine di quello argentino di Fernando De la Rua. Difficile, considerando la diversità della situazione economica, ma anche il fatto che le proteste peruviane sono ancora piuttosto settoriali. Eppure, la popolarità di Toledo è in caduta libera, «come una pietra» è stato scritto. Alla grande maggioranza dei peruviani poco importano alcuni dati macroeconomici positivi. La gente non ne può più delle frustrazioni che nascono da una miseria secolare. È stanca di aspettare e quando può manifestare la propria rabbia non si tira indietro.
Non c'è dunque da stupirsi se alle elezioni amministrative del novembre 2002 Perú Posible, il partito di Toledo, ha ottenuto soltanto il 13% dei voti. E se, in tutte le inchieste di oggi, il presidente detiene il poco invidiabile record dell'80% di disapprovazione. È fuor di dubbio che, in questo momento storico, egli ha perso la rapprentatività che ottenne nelle elezioni del luglio 2001.
Secondo una inchiesta di Imasen, commissionata dalla rivista Ideele, se oggi ci fossero le elezioni presidenziali i candidati più votati sarebbero nell'ordine: Valentín Paniagua, il presidente ad interim più amato della storia peruviana, colui che guidò il paese dalla fine della dittatura alle elezioni del 2001; seguito da Alan García, leader indiscusso dell'Apra, già plurinquisito presidente; dalla signora Lourdes Flores di Unidad nacional (centro-destra); da Alberto Fujimori, l'ex dittatore, oggi esule in Giappone. A chiudere la fila, buon ultimo, tra i contendenti ci sarebbe proprio Alejandro Toledo, che - è bene ricordarlo - per legge non potrà ripresentarsi alle prossime elezioni presidenziali del 2006.
UN TRADIMENTO DA FARSI PERDONARE
Che succederà ora? Il futuro del Perù e del suo presidente rimane molto incerto. Le vie d'uscita, più o meno onorevoli, a disposizione di Toledo non sono molte.
La prima è il progressivo indebolimento dell'attuale governo che che continuerebbe nelle sue funzioni nell'ambito di una «democrazia a bassa intensità», secondo la definizione dell'ex ministro e professore universitario Nicolás Lynch.
La seconda alternativa è una crisi di governo, che porti ad un cambio attraverso i meccanismi costituzionali. In questa ipotesi, potrebbe essere nominato presidente ad interim Alan García. La terza via d'uscita sarebbe la più rischiosa: un colpo di stato da parte delle forze armate.
Ci sono infine altre due soluzioni, certamente più auspicabili delle precedenti. Da una parte, l'utilizzo effettivo del cosiddetto «Acuerdo nacional» (3), firmato un anno fa dai principali soggetti istituzionali e della società civile peruviana, ma rimasto finora praticamente inapplicato. Dall'altra, un cambio di filosofia da parte del governo in carica, abbandonando o almeno attenuando il credo neoliberista che finora ne ha segnato la strada. Certo, non è facile affrancarsi dai dettami di Washington. Tuttavia, Toledo potrebbe prestare più attenzione ai suoi vicini, a cominciare da Lula per continuare con Chávez, Gutiérrez e lo stesso neopresidente argentino Néstor Kirchner.
In fondo, pur avendo studiato e lavorato negli Stati Uniti, Toledo era piaciuto ai peruviani per quella sua voglia di identificarsi con le classi più povere alle quali anche la sua famiglia apparteneva.
Al riguardo vale la pena di ricordare quanto Toledo ci disse nell'ormai lontano novembre 1999, quando era un candidato presidenziale in ascesa. «Come economista io le dico che gli obiettivi finali della politica economica di un governo non possono limitarsi al raggiungimento di un'inflazione nulla o alla benedizione del Fondo monetario internazionale. Intendo dire che quei traguardi sono importanti e necessari, ma non sufficienti. Per me i veri risultati economici si vedono nel miglioramento delle condizioni di vita della popolazione: quando la gente ha più lavoro, più accesso a un efficiente sistema di salute, più educazione di qualità».
Ojalá. Parole sante, presidente Toledo!
Paolo Moiola
(per "Latinoamerica" / Copyright)
(per "Latinoamerica" / Copyright)
Note:
(1) Un dollaro vale circa 3,5 soles, un euro poco di più.
(2) Ne hanno parlato, tra i tanti, i due maggiori quotidiani del Perù (El Comercio e La República) e il settimanale Caretas.
(3) Sui contenuti dell'«Accordo nazionale» si veda Latinoamerica n. 81 di ottobre-dicembre 2002.
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