(settembre 2000)
Salvador Bahia - È bella la città di Jorge Amado. Le chiese, i palazzi barocchi, le case dalle tonalità pastello, le piazze linde e ben pavimentate richiamano folle di turisti, muniti di shorts e macchine fotografiche. Ma forte è l'impressione che tutto sia ad uso e consumo del visitatore. Un persona questa che quasi sempre ignora la vastità delle favelas che circondano la città vecchia (nota come «città alta»), quella sulla quale si sono riversati finanziamenti miliardari. La Salvador non turistica deve fronteggiare problemi giganteschi: disoccupazione, povertà, analfabetismo. Tutto questo genera un forte clima di violenza. Non nasconde i problemi dom Gilio Felicio, dal 1998 vescovo ausiliare di Salvador. Lo incontriamo al «Centro di formazione per leaders» dell’arcidiocesi. Volto sorridente e coinvolgente simpatia, monsignor Felicio è un vescovo dalla pelle nera.
Nello stato di Bahia gli afro-brasiliani rappresentano più del 70 per cento dei 13 milioni di abitanti. E sono di gran lunga i più poveri ed emarginati. «Sulla popolazione nera - spiega mons. Felicio - ricade tutta l’ampia gamma dei problemi brasiliani. Molti di questi hanno una motivazione storica. Infatti, 300 anni di schiavitù e 100 di sottomissione alla cultura del “bianco” hanno lasciato il segno. Perché nella testa dei neri si è sedimentato un pesante senso di inferiorità».
È vero - chiediamo - che molti afro-brasiliani usano una terminologia particolare per nascondere la propria identità? «Purtroppo è proprio così. A volte, si arriva a situazioni assurde, ridicole. Quando un afro-brasiliano fa un buon lavoro, può accadere che lui stesso dica di avere fatto un lavoro... “da bianco”. La negritudine, l'essere neri non è assunto come un valore in sé, come esempio di vero, di bene o di bello. Anzi, è proprio il contrario: nero è brutto».
Lei è ottimista riguardo alla pastorale afro-brasiliana? «Vedo un lungo cammino ancora da percorrere, ma continuo ad essere ottimista. La chiesa cattolica, partendo dal Concilio Vaticano II, ha guardato in modo speciale al concetto del popolo di Dio, cercando di valorizzare le qualità di ogni soggetto. Nel passato la chiesa ha sempre avuto un occhio privilegiato per la misericordia e l’assistenza al povero, ma è stata più restia a considerare l’elemento culturale dei popoli. Giovanni Paolo II, nella conferenza dei vescovi latinoamericani di Santo Domingo, parlando agli indigeni e agli afro-americani, li ha invitati a coltivare e celebrare degnamente la propria identità e cultura. Credo che si stiano facendo grandi passi su questa strada. In Brasile la pastorale cerca di rispondere alle necessità della popolazione afro-brasiliana: essere riconosciuta per la cultura di cui è portatrice ed avere piena cittadinanza nella chiesa».
Nelle favelas di Salvador si tocca con mano un’offerta religiosa molto diversificata. Domandiamo a monsignor Felicio se il sentire dell'afro-brasiliano è quello del candomblé (nel quale confluisce la tradizione religiosa africana), della chiesa cattolica o delle sètte. «Su questa terra - risponde il prelato - c'è stata una confluenza, un incontro di diverse religiosità: quella indigena, quella europea e quella degli afro-discendenti. Questi elementi si sono accavallati, formando una specie di simbiosi religiosa che alcuni chiamano sincretismo, ma che in realtà è qualcosa di unico. Questo crea, non si può negarlo, delle difficoltà. Tuttavia, la chiesa cattolica ha riconosciuto l’importanza di vari aspetti del candomblé. Attraverso il dialogo si sta costruendo una nuova via per l’inculturazione del messaggio cristiano».
Nel 1995 sono stati commemorati i 400 anni del martirio di Zumbì, l’eroe per antonomasia della popolazione afro-brasiliana. La chiesa cattolica ha partecipato alle celebrazioni, riconoscendo l'importanza di questo schiavo nero nella storia del Brasile. «È stato un gesto carico di significati. Però non è stato né l’unico né l'ultimo. Oggi abbiamo gruppi di lavoro e movimenti di sacerdoti, vescovi e diaconi neri. Lo scopo è di studiare la spiritualità afro-brasiliana e valorizzare la presenza e la cultura dei neri in questo grande paese».
Ma quanti sono i vescovi afro-brasiliani nella Conferenza episcopale del Brasile? «Sei su 400 prelati». Non sono molti, monsignore. Il sorriso di dom Gilio Felicio vale più di qualsiasi risposta.
Paolo Moiola
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