America Latina (giugno 2004)
Colombia (dal libro "La guerra, le guerre")

LA GUERRA AI TEMPI DI ALVARO URIBE

di Paolo Moiola

In campagna elettorale il suo slogan era di quelli ad effetto, che colpiscono la fantasia della gente: “Mano firme, corazón grande”, mano ferma, cuore grande.
Avvocato di Antioquia, figlio cinquantenne di un’importante famiglia, indossa occhialetti da intellettuale e sfoggia sempre un ampio sorriso. Lui è Alvaro Uribe Vélez, da due anni presidente della Colombia. I suoi fans sottolineano il fatto che è stato eletto al primo turno, omettendo di dire che quel giorno (era il 26 maggio 2002) andarono a votare soltanto il 46% degli aventi diritto e che i suoi 5,7 milioni di preferenze sono state meno di quelle ottenute da Andrés Pastrana, il suo predecessore.
Uribe si è già molto affezionato alla poltrona. Dopo aver incassato nell'ottobre 2003 una severa sconfitta ai referendum proposti dal suo governo, ora sta insistendo con il Congresso affinché esso approvi una legge che gli consenta di essere rieletto nel 2006. E quasi sicuramente ci riuscirà.
“Alvaro Uribe è diventato presidente perché la gente è stanca” ci ha spiegato senza tentennamenti padre Antonio Bonanomi, missionario della Consolata, da 25 anni in Colombia.
“I colombiani sono stanchi di 40 anni di guerra civile. Stanchi, ad esempio, di partire da una città senza essere sicuri di arrivare a destinazione. Ogni anno sono migliaia i sequestri. Uribe è arrivato alla presidenza con due proposte, ma la prima è stata quella fondamentale: farla finita con la guerriglia. Una promessa che è calata sulla stanchezza della gente; una stanchezza comprensibile, ma al tempo stesso incosciente nel momento in cui si dimenticano i motivi per cui c’è il conflitto”.
È proprio da questi motivi che vogliamo partire.

LA PRIMA DOMANDA: PERCHÉ?
I dati della violenza colombiana sono noti. Ogni anno si contano in media 30.000 morti violente, ma - questo è il punto da sottolineare - non più di un terzo di esse sono dovute alla guerra civile.
Dunque, per capire la situazione colombiana, accanto a questi dati, ne vanno elencati altri. La disoccupazione (ufficiale) arriva al 20%, la sottoccupazione al 33%. Circa 27 milioni di persone, cioè il 64% della popolazione totale, vivono sotto la soglia di povertà.
Insomma, non è possibile spiegare la situazione della Colombia senza aver chiare le condizioni in cui vive la maggioranza degli abitanti. “La guerra nasce - scrive lo scrittore Efraim Medina Reyes (1) - dagli alti livelli di ingiustizia sociale e di corruzione che segnano la storia della Colombia. Ingiustizia e corruzione generate, favorite e messe in atto dallo stato stesso”.
Chi è la categoria più a rischio in Colombia? I giornalisti, i giudici, i politici? No, sono i sindacalisti. Nel 2001 e 2002 sono morti ammazzati quasi 400 sindacalisti. Tra il 16 e il 17 giugno 2003 sono stati uccisi Luis H. Rolon (a Cucuta), Morelly Guillen (a Tame) e Orlando Fernandez (a Valledupar).
Tra le battaglie sindacali attuali la più nota è forse quella contro la Coca-Cola. Le imprese colombiane legate alla multinazionale statunitense sono accusate di aver assoldato forze paramilitari per punire sindacalisti e lavoratori che non si adeguavano alle politiche aziendali.
Il “Sindacato nazionale dei lavoratori dell'industria alimentare” (Sinaltrainal) (2) ha denunciato l’assassinio di 9 lavoratori, l’esilio di 2, la fuga forzata di 48, minacce di morte contro 67, nonché l’incarcerazione di 15 operai a causa di segnalazioni da parte dei funzionari di Coca-Cola che li accusano di essere terroristi e delinquenti. “Sono molte - denuncia un sindacalista del Sinaltrinal (3) - le imprese e i latifondisti che si appoggiano agli squadroni paramilitari e anche all'esercito per fare i loro interessi, senza alcun rispetto per i diritti umani. Se in una certa zona si vuole sfruttare la biodiversità o si vogliono fare esplorazioni petrolifere o minerarie, per esempio per estrarre oro, si inviano gli squadroni per far sfollare tutta la zona, interi villaggi, e il destino di chi si oppone è segnato. Così si formano sacche enormi di disoccupati, che non hanno altra alternativa che quella di farsi sfruttare vergognosamente dalle multinazionali. Le grandi imprese appoggiano il governo del presidente Uribe, che non si fa certo pregare per tutelare i loro interessi”. Ma anche senza ricorrere alla violenza, le pratiche anti-sindacali sono all'ordine del giorno in Colombia. Il 4 maggio 2004 la compagnia statale Ecopetrol (Empresa colombiana de petróleos) ha licenziato in tronco Gabriel Alvis, leader dell'organizzazione sindacale Uso (Unión sindical obrera), colpevole di capeggiare un duro sciopero contro l'azienda.
Questi scandalosi aspetti del paese andino sono però sopraffatti (anche dal punto di vista della “visibilità”) dagli altri: la droga, la guerra sucia, le guerriglie, i paramilitari.

SE IL PREFISSO “NARCO” GIUSTIFICA TUTTO
La Colombia è un paese ricco. Di risorse agricole (caffè, banane, fiori ecc.), di risorse minerali (petrolio, oro, argento, smeraldi, ecc.), di risorse naturali (acqua, foreste, biodiversità). Eppure il prodotto da esportazione più importante rimane la cocaina. “Il narcotraffico - spiega lo scrittore William Ospina (4) - è frutto di una situazione nella quale il lavoro onorato non permette nemmeno di sopravvivere, mentre il lavoro illegale è pagato copiosamente da un impero opulento”.
In Colombia gli ettari di terra coltivati a coca sono circa 120 mila (più altri 10 mila per l’amapola, il papavero da oppio) (5). Con 580 tonnellate annue (l’80 per cento delle quali rifornisce il mercato statunitense), il paese andino è sempre il primo produttore mondiale di cocaina.
Quattro anni fa venne varato il Plan Colombia, un ambizioso programma antidroga sovvenzionato da Washington. Secondo il governo colombiano e le autorità statunitensi il piano è un successo, avendo ridotto fino al 21 per cento nel 2003 le coltivazioni illegali di coca, marihuana e papavero da oppio. Sicuro della suo efficacia, a fine marzo 2004 il presidente Uribe è volato a Washington per convincere Bush a varare un Plan Colombia II, che dovrebbe durare fino al 2009.
Di ben altro avviso sono le Organizzazioni non governative e le associazioni per i diritti umani: queste affermano che il Plan Colombia è del tutto negativo, essendo in realtà un mero strumento per combattere i gruppi guerriglieri e controllare militarmente la regione (6).
Questa tesi è suffragata dalle modalità di utilizzo degli ingenti fondi statunitensi. E qui è importante ricordare che la Colombia è il primo paese latinoamericano nella classifica dei beneficiari di aiuti Usa; il terzo nel mondo, dopo Israele ed Egitto. Ebbene, gran parte dei 2.800 milioni di dollari inviati finora da Washington (su un totale previsto di 7.500) sono stati utilizzati per spese militari. Tra l’altro, come nota Guido Piccoli (7), buona parte di questi dollari rientrano al mittente sotto forma di pagamento alle industrie belliche o alle società militari private statunitensi.
Come se ciò non bastasse, le operazioni di distruzione delle piantagioni producono molti danni. La “fumigazione” aerea con diserbanti (soprattutto il Roundup ultra e, più recentemente, una varietà di Fusarium Oxysporum) (8) ha portato all’avvelenamento di territori, fiumi e popolazioni. Inoltre, queste azioni hanno incentivato un’emigrazione delle coltivazioni di coca (e papavero) nei paesi vicini: Perù , Ecuador e Bolivia hanno visto aumentare gli ettari coltivati.
Ma allora - ci si chiede - la produzione di droga è diminuita o aumentata? “Se un prodotto scarseggia, il prezzo aumenta - ha fatto notare Adam Isacson, analista del “Center for international policy” di Washington -. I prezzi stabili dimostrano che la cocaina è abbondante come sempre” (9).
In tutto questo il Plan Colombia ha completamente trascurato i progetti volti ad uno sviluppo economico alternativo, come dimostra anche il continuo incremento degli sfollati (che oggi sono almeno 3 milioni).
Altri sottolineano come la lotta alla droga e al narcotraffico sia unilaterale: si esige fermezza ed efficacia ai paesi produttori del Terzo mondo, mentre quelli consumatori (Stati Uniti ed Europa, in testa) non mettono in atto neppure le contromosse più banali, per esempio il controllo della produzione dei solventi chimici che servono alla lavorazione del prodotto grezzo.
L’obiezione “se non ci sono consumatori, non c’è narcotraffico” è ripresa anche da Wayne S. Smith: “Il problema della droga - scrive - ha due dimensioni: consumo e produzione. Il primo è concentrato negli Stati Uniti. Spetta quindi a quest’ultimi gestire la questione della domanda, dato che, finché ci sarà un mercato, non è probabile che si riduca la produzione”.
A conti fatti, il Plan Colombia non è tanto uno strumento per combattere il narcotraffico, quanto piuttosto un programma per giustificare la presenza statunitense in un regione strategica. Tutto ciò costa moltissimo agli Usa, ma Washington sa di avere a Bogotà dei fedelissimi alleati, soprattutto con Uribe. Non per nulla il colombiano è stato l’unico presidente sudamericano ad appoggiare la guerra di Bush in Iraq.
Lapidario il commento di Efraim Medina Reyes: “Il presidente Uribe conta sull’amicizia degli Stati Uniti, ma è noto quanto sia ambiguo e pericoloso il loro appoggio. Gli interessi imperiali dei nordamericani non hanno mai rispettato patti o “amicizie”, basta ricordare il sostegno che diedero in passato a Saddam Hussein e Osama bin Laden”.

PARAMILITARI O PARASTATALI?
Il 15 luglio 2003 Carlos Castaño, leader storico delle “Autodifese unite della Colombia” (Auc), ha siglato con il governo l’accordo in base al quale i suoi 13.000 paras disarmeranno totalmente entro il 2005.
In molti, conoscendo il curriculum del presidente, avevano pronosticato l’accordo. Trascurando i numerosi episodi oscuri della sua vita, limitiamo l’attenzione sugli anni più recenti.
Quando era governatore di Antioquia (1995-’97), Uribe aveva favorito la diffusione delle “cooperative di vigilanza e sicurezza privata”, successivamente chiamate Convivir. Si trattava di gruppi armati, generalmente finanziati dai grandi proprietari terrieri, destinati ad aiutare le autorità a lottare contro la guerriglia. Poi queste milizie private (una settantina) iniziarono ad aiutare le grandi aziende bananiere dell’Urabá a “calmare” gli operai protestatari o peggio quelli sindacalizzati. Insomma, le Convivir, benedette dal governatore Uribe, divennero molto simili a gruppi paramilitari.
La vicinanza delle “Autodifese unite della Colombia” (Auc) al progetto di governo di Uribe è stato evidente fin dalla campagna elettorale e dai proclami entusiastici dopo la vittoria.
In verità, Uribe non ha che rafforzato una situazione da sempre vigente. La contiguità dei paramilitari con l’esercito e lo stato è un dato di fatto. “I paramilitari - scrive Amnesty International nel rapporto 2003 - operano in collusione con le forze di sicurezza e sono responsabili della grande maggioranza delle “sparizioni” e uccisioni di civili”.
Ora, dopo l’accordo del 15 luglio 2003, il problema sarà quello di capire se i paramilitari pagheranno per i loro delitti, che vanno dai massacri al narcotraffico. È difficile, comunque, che lo stato osi presentare loro un conto salato, soprattutto in considerazione del fatto che i paras hanno agito come dipendenti parastatali.
“La "teoria dei 3 attori" che vede separati stato, paramilitari e guerriglia è la principale menzogna sul conflitto in atto: i paramilitari sono nati come necessità dello stato di commissionare ai civili la guerra sporca, per evitare di essere poi condannato dalla comunità internazionale” (10).
Nel frattempo, l'accordo di luglio 2003 è pericolante. C'è scontento e divisione tra i paramilitari. Chi tra loro ha consegnato le armi (ad esempio, un gruppo che sta a La Ceja, Antioquia) aspetta un lavoro, che non arriva. Chi non ha consegnato le armi, vuole capire quale sarà la sua condizione giuridica, spingendo ovviamente per una sorta di “impunità legalizzata”. Altri ancora non hanno alcuna intenzione di ritirarsi dalla scena bellica.
A complicare la situazione, dal 16 aprile 2004 è scomparso Carlos Castaño. Ucciso, sequestrato o rifugiato negli Usa? Salvatore Mancuso, responsabile militare delle Auc, non pare avere le capacità per sostituire il leader politico dei paramilitari. Intanto, il 9 maggio 2004, un'ottantina di paras vengono arrestati in Venezuela: preparavano un golpe contro Chávez assieme all'opposizione venezuelana?

LE FARC: “ORA ASCOLTATE ANCHE NOI”
Il 17 luglio 2003, due giorni dopo l’accordo di Uribe con i paramilitari delle Auc, le “Forze armate rivoluzionarie della Colombia” (Farc) inviano una lettera pubblica a Kofi Annan, segretario generale delle Nazioni Unite.
In essa le Farc chiedono che un loro rappresentante, il comandante Raúl Reyes, venga ricevuto da Annan per esporre le ragioni del gruppo guerrigliero al fine di arrivare per via diplomatica ad “una soluzione politica al conflitto sociale e armato”.
Il 24 agosto 2003 appare on-line (ogni contendente ha un proprio sito internet) (11) un comunicato congiunto delle Farc e dell’Eln in cui si sottolinea la posizione dei due gruppi guerriglieri contro l’amministrazione Uribe, il Plan Colombia e l’Alca.
Per mantenere 16.000 uomini e donne in arme ci vogliono molti soldi. Le Farc si finanziano con le cosiddette “imposte rivoluzionarie”, i sequestri, le estorsioni e il narcotraffico. Per screditare l’avversario e poterlo chiamare semplicemente “terrorista”, da tempo si parla soltanto di narcoguerriglia. Il settimanale Semana ha parlato di un fatturato delle Farc di 500 milioni di dollari all’anno (12). Se il business della droga è valutato in 50.000 milioni di dollari, significa che i guerriglieri detengono soltanto l’1% del narcotraffico.
Rimane, comunque, una domanda: esiste ancora un “ideale guerrigliero”? Le Farc (e l’Eln) lottano ancora per modificare le strutture economiche e sociali della Colombia, ma - scrive il padre gesuita Javier Giraldo (13) - “nessuno potrebbe negare che i metodi utilizzati dalle guerriglie colombiane siano metodi ripugnanti. Tra questi si contano il sequestro di persone ricche a scopo d’estorsione, l’utilizzazione di armi artigianali che producono effetti difficili da controllare (come bombole di gas piene di esplosivo), il sabotaggio o la distruzione di elementi nevralgici dell’economia, l’attacco a molte persone che non sono combattenti”.
Come ha giustamente scritto Alfredo Molano (14), “quando un movimento tende ad assomigliare al nemico nel modo di agire e di combattere, le ragioni della sua lotta cominciano a svanire”.

L'INFORMAZIONE: SE “GUERRIGLIERO” DIVENTA “TERRORISTA”
È interessante cercare di capire come i mezzi di informazione colombiani traducano il conflitto armato per il pubblico.
Scrive Ospina: “Leggiamo nei grandi periodici, il cui sforzo persistente per dissimulare l’orrore e la rinuncia colpevole ad essere la coscienza critica della società sono stati per decenni il sedativo dell’opinione pubblica, che il paese ha perso i suoi valori, che si sono deteriorate la morale e le buone maniere. I responsabili di questo dramma incominciano ad esigere che siano le vittime a regolare quello che la cupidigia ha rovinato”.
Rincara la dose Javier Giraldo: “Nell’informazione sulla guerra - scrive il gesuita - sono spariti da tempo termini come combattente, insorto, guerrigliero o sovversivo, rimpiazzati da bandito, delinquente o terrorista, la maggior parte delle volte addizionati con il prefisso narco”.
L’ascesa e la vittoria di Alvaro Uribe è stata sostenuta dai maggiori media colombiani (dal quotidiano El Tiempo al settimanale Semana, a Radio Caracol), nonché dai giornali statunitensi (ad iniziare dal Wall Street Journal).
Per non parlare di come i grandi gruppi informativi hanno trattato il fenomeno dei paramilitari. Quando finalmente hanno iniziato a parlarne, avevano cura - spiega ancora Guido Piccoli - “di nascondere la sua origine istituzionale e di presentarlo come una risposta illegale ma comprensibile alla violenza guerrigliera”. Poi, non hanno lesinato elogi alla cosiddetta “svolta umanitaria” delle Auc e di Castaño.
Ma c’è dell’altro, perché nella Colombia di Uribe l’informazione non è soltanto quella fornita dai mass-media...

LO “STATO DI DIRITTO” SECONDO URIBE
La seconda proposta del presidente è stata quella di un estado comunitario, uno “stato comunitario”, cioè uno stato che favorisca la partecipazione della comunità.
“L’idea - ci ha spiegato padre Bonanomi - è molto latinoamericana. Però, sta proprio qui la trovata geniale: quando parla di estado comunitario, il presidente non intende uno stato dove la gente diventa protagonista, bensì uno stato dove la gente è parte della lotta armata. In pratica, Uribe dice: lo stato da solo non può vincere questa guerra. Con voi invece può farcela. La proposta è di avere un milione di informanti, ausiliari, spie...”.
Si chiama red de informantes civiles, rete di informatori civili. Un progetto dalle conseguenze imprevedibili. “Una pazzia - ha confermato il missionario -. Perché significa che tu oggi non sei più sicuro di nessuno: neppure del vicino di casa con cui scambi due parole, perché anche quello può essere una spia. Immaginate cosa potrebbe succedere il giorno in cui avessimo nel paese un milione di informanti”.
Secondo Andrés Peñate, vice-ministro della difesa, la rete di informatori civili conterebbe su 1 milione e 800 mila collaboratori. “È possibile. Con 4 milioni di disoccupati, qualche migliaio di pesos al mese può far comodo”.
Ma la “mano ferma” di Alvaro Uribe Vélez non si è fermata a queste misure, che pure preoccupano molto le organizzazioni per i diritti umani. Il 12 dicembre 2003 il Congresso colombiano ha infatti approvato un nuovo statuto anti-terrorista, che attribuisce ai militari ampi poteri per arrestare persone sospette ed effettuare intercettazioni telefoniche senza mandato giudiziario.

URIBE “IL BUONO” VS CHAVEZ “IL CATTIVO”?
La Colombia confina con il Venezuela, paese inviso agli Stati Uniti e all'amministrazione Bush in particolare. Washington appoggia palesemente l'(impresentabile) opposizione al presidente Hugo Chávez Frias (eletto nel 1998 e rieletto nel 2000). L'atteggiamento nordamericano è quantomeno criticabile. Ci sono due presidenti democraticamente eletti dai rispettivi cittadini, ma uno - il presidente colombiano - è gradito, l'altro no. Addirittura Chávez viene attaccato perché - secondo la Casa Bianca ed i suoi alleati - sarebbe un dittatore, mentre Uribe è senz'altro un presidente democratico. Eppure gli elementi oggettivi suggerirebbero il contrario: Uribe ha l'appoggio dei media del proprio paese, Chávez no; Uribe usa la mano forte, Chávez no.
Un atteggiamento schizofrenico che non trova giustificazioni plausibili. Se non quelle che rispondono agli esclusivi interessi di Washington.
Paolo Moiola

NOTE:

(1) Efraim Medina Reyes, Colombia, in mezzo alla guerra, sul settimanale Internazionale, 30 maggio 2003.
(2) Si veda: www.sinaltrainal.org. E l'articolo “Un mondo d'allegria” sul settimanale Internazionale del 7 maggio 2004.
(3) Si legga Sandra Cangemi, “Coca Cola sotto processo per la Colombia” sul mensile Mani Tese (edito dall'omonima organizzazione) del gennaio 2004.
(4) William Ospina, saggista, poeta, traduttore.
(5) Fonti governative riferiscono cifre ben inferiori: sarebbero non più di 69.000 gli ettari coltivati a coca, marihuana e papavero da oppio. D'altra parte, l'“International narcotics control strategy report” parla di 144 mila ettari (nel 2002).
(6) Si veda l’archivio di www.misna.org. Inoltre, www.selvas.org, sito italiano sull’America andina, coordinato da Martin E. Iglesias.
(7) Guido Piccoli, Colombia, il paese dell’eccesso, Feltrinelli, Milano 2003: un libro informatissimo e rigoroso.
(8) Si veda: www.narconews.com.
(9) Citato dal quindicinale Noticias Aliadas del 21 aprile 2004.
(10) Eva Bonomini su Mani Tese del marzo 2004.
(11) I siti dei soggetti principali: www.presidencia.gov.co (governo); www.colombialibre.org (Auc); www.farcep.org (Farc-Ep); www.patrialibre.org (Eln).
(12) Si veda Semana del 25 febbraio 2002.
(13) Javier Giraldo, Colombia, un paese in mano al “signore delle ombre”, su Latinoamerica n.2/3-2002.
(14) Alfredo Molano Bravo, giornalista e saggista, vive in esilio in Spagna da quando è stato minacciato di morte dai paramilitari.


COLOMBIA: CRONOLOGIA fino al giugno 2004

1994-’98 - Presidenza di Ernesto Samper
1998-’02 - Presidenza di Andrés Pastrana
1998, novembre - Nasce attorno a San Vicente del Caguán la zona di dispeje, subito soprannominata “Farclandia”.
1999, gennaio - Incontro tra Andrés Pastrana e Manuel Marulanda, leader delle Farc.
1999, settembre - Nasce il “Plan Colombia”.
2002, febbraio - Si interrompe il processo di pace tra il governo Pastrana e le Farc.
26 maggio - Alvaro Uribe Vélez vince le elezioni
7 agosto - Durante l’insediamento di Uribe, piovono bombe e razzi sul palazzo presidenziale, ma anche sul quartiere povero di Cartucho dove ci sono morti e feriti.
2003, 7 febbraio - Un attentato all’esclusivo club El Nogal di Bogotà provoca 33 morti e 168 feriti.
15 luglio - Accordo tra il governo Uribe e i paramilitari delle Auc di Carlos Castaño e Salvatore Mancuso.
17 luglio - Le Farc scrivono una lettera pubblica al segretario generale dell’Onu, Kofi Annan.
20 luglio - Un gruppo di esponenti del Congresso propone una riforma elettorale che consenta di rieleggere il presidente per un secondo mandato.
26 ottobre - Falliscono i 15 referendum voluti da Uribe. Luis Eduardo Garzon, candidato della sinistra, è il nuovo sindaco della capitale, Bogotà.
13 dicembre - Il Congresso vara un severo statuto anti-terrorismo. Preoccupazioni e critiche da parte delle organizzazioni per i diritti umani.
2004, 22 marzo - Il presidente Uribe è a Washington per chiedere una nuova edizione del “Plan Colombia”.
16 aprile - Il leader politico delle Auc, Carlos Castaño, è fatto oggetto di un misterioso attentato. Da quel giorno non si hanno più notizie di lui.
10 maggio - Salvatore Mancuso, leader militare delle Auc, nega che suoi uomini siano sconfinati in Venezuela per preparare un golpe contro il presidente Chávez.
13 maggio – Governo centrale e Auc firmano l’”intesa di Fatima”. In base a questo accordo, i paramilitari disporranno di una “zona di distensione” di 368 chilometri quadrati a Tierralta, presso Santa Fé de Ralito (dipartimento nord-occidentale di Cordoba).
27 maggio 2004 – Le Farc compiono 40 anni. Da qualche settimana è divenuta pubblica la notizia dell’esistenza del cosiddetto Plan Patriota, un’operazione contro la guerriglia nella quale il presidente Uribe vorrebbe impiegare una forza di 14-15.000 uomini.
3 giugno 2004 – Il progetto di ricandidatura del presidente Uribe supera il primo ostacolo, rappresentato dalla Commissione ad hoc dei deputati. La strada è ancora lunga, ma Uribe e la sua maggioranza sono sicuri di riuscire a far modificare la Costituzione.



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