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GENOVA 2001 / G8
Cosa ha lasciato l’assise del G8
ottobre 2001

 

IL G8 di Genova

QUEGLI OTTO NANI
MIOPI E PREPOTENTI

Nonostante la propaganda governativa parli di uno storico successo, il vertice dei G8 si è concluso con un fallimento. Sui temi caldi del debito, dell’ambiente e della finanza non si è deciso nulla, mentre l’insistenza attorno alla bontà della ricetta economica neoliberista appare decisamente stonata. Il Fondo globale per la salute (l’unica decisione operativa) ha una portata da elemosina e una struttura molto ambigua. Nel frattempo, questo novembre l’Organizzazione mondiale del commercio (Omc-Wto) discute un’ulteriore riduzione delle barriere commerciali. La riunione si tiene a Doha, nell’emirato del Qatar, dove i «cattivi» contestatori non potranno mai arrivare.

 

IL NULLA,
NERO SU BIANCO

Sono passati quasi 3 mesi dal vertice di Genova, che ha riunito i rappresentanti degli 8 paesi più industrializzati del mondo (i cosiddetti «G8»). Premesso che sulla legittimità di questo organismo ci sono dubbi forti e condivisibili, alla fine un dato è certo: il vertice si è concluso con un fallimento epocale.
Gli 8 (più Prodi, che rappresentava l’Unione europea) signori del mondo hanno messo nero su bianco il nulla uscito dai loro tre giorni di colloqui. I 36 punti della dichiarazione finale non sono altro che un inno stonato e ripetitivo alla retorica del mercato che tutto sistema e tutto sana.

ELEMOSINA
Era stata annunciata come una grande iniziativa. In realtà, il Fondo globale (Global Health Found)  contro Aids, malaria e tubercolosi è un’elemosina: si tratta di 1,3 miliardi di dollari, circa 3.000 miliardi di lire. Questi fondi corrispondono alle risorse che i paesi indebitati spendono in poche settimane a causa del debito.
Per comprendere il reale significato dei 3.000 miliardi stanziati, ricordiamo che il deficit della sanità della regione Piemonte (con solo 4,5 milioni di abitanti) per l’anno 2000 è stato stimato in 1.200 miliardi di lire.
Come ciò non bastasse, al punto 17 si legge: «Esprimiamo apprezzamento per le misure prese dall’industria farmaceutica al fine di rendere economicamente più accessibili i farmaci. Nel contesto del nuovo Fondo globale, lavoreremo d’intesa con l’industria farmaceutica». Insomma, nonostante la figuraccia mondiale rimediata in Sudafrica (dove hanno dovuto abbandonare la causa intentata contro il governo nazionale), per gli 8 le multinazionali dei farmaci diventano associazioni filantropiche.
Prima dell’inizio del vertice, Medici senza frontiere aveva espresso forte preoccupazione per la tendenza dei governi ad abdicare a favore delle imprese del business mondiale le responsabilità politiche della salute.
Dopo il vertice, l’organizzazione si è mantenuta coerente, dichiarando che non parteciperà al consiglio direttivo del Global Health Found, in quanto questo sarà aperto anche alle multinazionali farmaceutiche. Queste infatti potranno guadagnarsi il loro posto nel consiglio attraverso una donazione al fondo. Come non concordare allora con chi parla di «carità pelosa» e di «conflitto di interessi»?
Inoltre, con un tono che sa molto di monito, gli 8 ribadiscono la volontà di difendere i «diritti di proprietà intellettuale, come necessario incentivo per la ricerca e lo sviluppo di farmaci salvavita». Questo significa che la vicenda sudafricana (cioè la sconfitta delle multinazionali sui medicinali anti-Hiv) viene considerata soltanto un episodio che non dovrà avere seguito.

DEBITO
«L’alleggerimento del debito è un valido contributo alla lotta contro la povertà» (punto 7). Già il termine utilizzato, «alleggerimento», fa capire che neppure questa volta sul problema del debito ci sarà una svolta decisiva.
L’iniziativa a favore dei paesi poveri maggiormente indebitati (Heavily Indebted Poor Countries, Hipc),  
citata nel documento, è stata finora deludente. Non solo perché soltanto 23 paesi poveri sono stati ammessi al programma di alleggerimento, ma anche perché la stessa Banca mondiale ha messo in dubbio l’efficacia dell’iniziativa Hipc nel lungo periodo.
I responsabili di Sdebitarsi e di Drop the Debt (le organizzazioni italiana e internazionale che si battono per la cancellazione del debito) non nascondono la loro delusione: i leaders dei G8 hanno perso una grande occasione per affrontare in modo efficace la crisi del debito.

PROBLEMI? PIÙ LIBERISMO!
Tutto il documento finale è una ossessiva esaltazione della crescita, senza una parola per i concetti di uguaglianza, giustizia, redistribuzione. Punto 10: «Libero commercio e investimenti alimentano la crescita globale e la riduzione della povertà». Il punto 11 ribadisce il concetto: «Appoggiamo gli sforzi compiuti dai paesi meno avanzati per accedere al sistema commerciale globale e per approfittare delle opportunità offerte da una crescita basata sul commercio».
Dunque, la risposta degli 8 grandi ai problemi del mondo è chiara ed univoca: essi additano la via del libero scambio e dei commerci. Per abbattere la miseria strutturale e lo squilibrio della ricchezza serve più liberismo, la nuova ideologia che - come ci viene continuamente ricordato - non si può mettere in discussione perché è l’unica possibile.
Questo novembre ci sarà la quarta riunione dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc-Wto), la prima dopo il fallimento di Seattle (novembre 1999). Poiché quanti si oppongono e si mobilitano per manifestare il dissenso sono considerati violenti o criminali, la riunione si terrà nell’emirato arabo del Qatar, paese praticamente irraggiungibile. Insomma, finalmente il Wto potrà decidere in tutta tranquillità cosa è bene per gli abitanti della terra. E poco importa se i delegati dei 49 paesi più poveri del pianeta, che si sono riuniti a Zanzibar (24 e 25 luglio), hanno espresso forti preoccupazioni per le pressioni continue all’apertura dei loro mercati quando questi sono ancora troppo deboli per competere con quelli dell’Occidente.
Se il Wto riuscisse a realizzare il suo disegno di liberalizzazione completa dei mercati, sarebbe il primo organismo in grado di imporre le sue decisioni al mondo intero. L’organizzazione - ha spiegato Susan George - è «un tavolo permanente i cui membri si impegnano a negoziare per sempre in una sola direzione». È quella del pensiero unico neoliberista, che elabora le giustificazioni teoriche per la consegna delle economie nelle mani delle grandi imprese multinazionali.
«Il nostro modo di vivere e di pensare - ha scritto il premio Nobel Rita Levi Montalcini -, il nostro modo di produrre, di consumare e di sprecare non sono più compatibili con i diritti dei popoli dell’intero globo. I meccanismi perversi dell’attuale modello di sviluppo provocano l’impoverimento, il depredamento degli ecosistemi, la negazione delle soggettività e delle differenze».

GLI SPECULATORI?
LIBERI DI ARRICCHIRSI
Al vertice di Genova si è parlato molto di economia, ma si sono coscientemente tralasciate le variabili dell’economia finanziaria.  
Attualmente sui mercati valutari si scambiano ogni giorno 1.800 miliardi di dollari; il 95% di tale entità riguarda transazioni di breve o brevissimo periodo, la maggior parte delle quali riveste un carattere meramente speculativo. Se sulle transazioni valutarie si applicasse la Tobin tax, si limiterebbero le speculazioni finanziarie (che mettono continuamente in pericolo la stabilità degli stati più deboli e l’equilibrio dell’intero sistema) e al tempo stesso si raccoglierebbero cospicui fondi (si parla di 100 - 400 miliardi di dollari) per porre rimedio allo sviluppo diseguale. Ma di tutto ciò, al summit di Genova, non si è parlato. Per banchieri e speculatori non è mai difficile convincere i governi!
«Globali - ha scritto recentemente Oskar Lafontaine, ex ministro delle finanze della Germania - sono solo i mercati finanziari -. La possibilità di trovare in pochi secondi la migliore collocazione del capitale in tutto il mondo. Le crisi finanziarie in Messico, Asia, Russia, Brasile e Argentina hanno rivelato l’instabilità dei mercati finanziari internazionali. Non ci sono dubbi che le crisi hanno provocato un aumento considerevole della disoccupazione e dell’impoverimento sociale». 

LA TERRA PUÒ ATTENDERE
Non hanno potuto mentire. Al punto 24 i grandi affermano: «Al momento non siamo d’accordo sul protocollo di Kyoto e sulla sua ratifica».
Su questo tema è stata determinante l’opposizione di George W. Bush. Il protocollo di Kyoto (che prevede una blanda riduzione dei gas a effetto serra) era stato firmato (1997), ma mai ratificato dagli Usa.
È qui che diventa palese una delle conseguenze più inquietanti della globalizzazione: l’americanizzazione del mondo, ovvero la sua subordinazione agli interessi della superpotenza statunitense. Finché si tratta di favorire il business delle imprese multinazionali va tutto bene; ma quando si tratta di imporre regole nell’interesse collettivo dell’umanità gli Usa si tirano indietro.
Vale la pena di ricordare che gli Stati Uniti sono di gran lunga il paese più inquinante del pianeta (leggere box). Insomma, gli Usa guidano la fila di coloro che si rifiutano di pagare quell’enorme debito ecologico e sociale che le loro politiche hanno prodotto nei paesi del Sud, pur guardandosi bene dal contabilizzarlo. Come ha ricordato l’ecuadoriana Aurora Donoso (di Acciòn ecologica), i paesi ricchi hanno operato un sistematico saccheggio delle risorse del Sud (petrolio, minerali, foreste, biodiversità), lasciando in eredità distruzione ambientale e sociale, mutamenti climatici e biopirateria di cui ora non vogliono farsi carico.
«Le catastrofi ecologiche - scrive Lafontaine -, come l’incidente al reattore di Chernobyl, il buco dell’ozono e le perdite delle petroliere, hanno ricordato al mondo intero che anche la distruzione della natura fa parte della globalizzazione. Gli interessi dell’ecologia si scontrano con lo spirito neoliberale».
Molta più attenzione gli 8 grandi hanno mostrato nei confronti della tecnologia, vista come panacea di tutti i mali. «Le tecnologie informatiche e delle comunicazioni - recita il punto 22 della dichiarazione finale - rappresentano un enorme potenziale per aiutare i paesi in via di sviluppo ad accelerare la crescita, elevare il tenore di vita e soddisfare altre priorità dello sviluppo».  Né è mancata (punto 20) la professione di fede per le biotecnologie, nonostante il dibattito nella comunità scientifica e nella società civile consigli molta prudenza.
Verso la fine del documento (punto 33) si parla di criminalità transnazionale. Ma non si fa alcun cenno né al commercio delle armi né ai paradisi fiscali e finanziari. Evidentemente, per gli 8 grandi questi non sono crimini.

LA PROMESSA
Silvio Berlusconi, non smentendo la sua fama di immodesto, parla di un vertice di Genova di portata storica. Come abbiamo visto, di storico c’è soltanto il suo fallimento. Senza dire delle incredibili violenze che lo hanno circondato.
I 36 punti della dichiarazione finale di Genova si chiudono con «il nostro lavoro continuerà».
Più che una promessa sembra una minaccia.
Paolo Moiola

 
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