Reportage dal Perù di Fujimori (2): missionari a Chorrillos
NON SOLO UN "VASO DE LECHE"
A Chorrillos, un distretto popolare sorto nella immensa periferia di Lima, i missionari comboniani si sono sostituiti allo stato. Nella loro parrocchia la popolazione trova ambulatori, mense, asili. Ne abbiamo parlato con padre Fernando Madaschi, un italiano che...
di Paolo Moiola
Dalla terrazza che funge da tetto si riesce a vedere anche l'oceano. L'azzurro fa da contrasto e riesce a ingentilire un paesaggio dove predominano i colori spenti. La posizione della casa consente una visione a 360 gradi. Volgiamo lo sguardo verso il mare. Sulla cima di una delle collinette campeggia una croce bianca, sotto una disordinata sequela di modeste abitazioni e, ancora più in basso, una scuola pubblica. Alle nostre spalle, dalla parte dell'unica strada asfaltata, le case sembrano aggrappate al terreno scosceso. Se piovesse (evento rarissimo), probabilmente scivolerebbero giù... Su molti muri spicca una enorme scritta: "Pablo reelection". "Ci sono le elezioni per il sindaco" ci spiega padre Madaschi, il padrone di casa. Ogni distretto di Lima ha un proprio sindaco (l'"alcalde"). A Chorrillos, Pablo, sindaco uscente, si è ricandidato. Padre Fernando Madaschi, italiano di Bergamo, classe 1956, ha un fisico da giocatore di pallacanestro e una voce di quelle che si fanno sentire anche da chi è "duro d'orecchie". Vulcanico, ama il Perú e non vorrebbe lasciarlo, ma "probabilmente tra un anno e mezzo i superiori mi destineranno altrove". La sua parrocchia si chiama "Cristo Misionero del Padre" ed è stata fondata il 17 novembre del 1995. Ma i comboniani operano a Chorrillos da più di 25 anni. Accanto alla casa dei missionari, è stato costruita una struttura multifunzionale: c'è il centro medico "Daniel Comboni", lo studio dello psicologo, la biblioteca. A lato c'è il cantiere dove è in costruzione la chiesa: soldi permettendo, sarà finita nel luglio 1999 e potrà ospitare 600 persone.
LAVORO, SANITÀ, EDUCAZIONE: DOV’è LO STATO? La zona è chiamata San Gennaro. "Questo è il nome dato all'"asentamiento humano", che in Perú sta per "barrio". A differenza delle favelas del Brasile, molti di questi quartieri sono legali". Si comincia invadendo il terreno. Poi, nel giro di 5-10 anni, lo stato riconosce il diritto di proprietà agli invasori. "Per esempio – spiega padre Fernando, aiutandosi con le mani - in questa zona la maggior parte degli abitanti sono proprietari, mentre nella parte alta non lo sono. Dopo essere diventati proprietari, loro si organizzano per avere l'acqua, le fogne, la luce ecc., per avere i servizi di base. Si aggiustano perché lo stato non li aiuta o, se lo fa, poi bisogna restituirgli gli interessi. Nell' "asentamiento" qui attorno per le case e i servizi la gente deve restituire molti soles". Gli ultimi arrivati sono invece più sfortunati: nelle loro baracche (fatte di cartone, lamiere, assi di riporto, stuoie e altri materiali di scarto) mancano l’acqua, la corrente elettrica, gli scoli fognari. Forse, prima o poi, si farà avanti qualche politico locale offrendosi di aiutarli in cambio del loro voto. Tutte le famiglie sono numerose e molte di esse sono composte dalla sola donna. "Questo – commenta il missionario - è un paese cattolico al 90% (almeno secondo le statistiche). Però c'è da dire una cosa: in Perú sono sopravvissuti molti retaggi incaici e in quella cultura c'era il cosiddetto "matrimonio di prova". Secondo questa antica consuetudine, una coppia di innamorati vive insieme per tre anni per vedere se si possono comprendere, se sono fatti l'uno per l'altro e poi si sposano. Io penso che questa tradizione sia sopravvissuta nella cultura del nostro popolo. Così, spesso, tanti finiscono col non sposarsi". E, anzi, molti uomini hanno addirittura due o tre donne. Quando poi si stancano, lasciano una donna e relativi figli. "Sono moltissime... troppe – precisa padre Fernando - le mamme abbandonate con bimbi piccoli. Con le famiglie divise è più facile che i figli entrino nel giro della droga o in bande criminali. Spesso si tratta di ragazzi molto giovani, ma sono pericolosi perché armati di coltelli e pistole, che purtroppo usano. In questa zona ce ne sono moltissimi". Il problema della famiglia si lega a una quotidianità fatta di ristrettezze. Non c'è lavoro. I più fortunati sono ambulanti, operai, muratori, falegnami, ma pochi hanno un’occupazione stabile. E quand'anche ci sia, lo stipendio minimo (320 soles al mese, poco più di 100 dollari) non consente di vivere dignitosamente: gli alimenti, i vestiti, le medicine, la scuola, tutto è caro. Per rispondere a questa situazione di povertà estrema, la parrocchia ha dovuto intervenire in maniera concreta e massiccia. E la prima necessità è quella del cibo. Dodici mense parrocchiali, aperte dal lunedì al venerdì, preparano più o meno 2.000 pasti al giorno. I missionari comboniani organizzano il tutto, ma coinvolgono le donne della parrocchia. Vengono fatti dei turni di cinque o sei mamme. "Le donne che lavorano con noi hanno diritto a sei pasti gratuiti ogni giorno. Non abbiamo la possibilità di offrire un vero stipendio. In 6-7 di queste mense si serve anche la colazione per i bambini: circa 1.200 colazioni al giorno prima di andare a scuola. Le mamme di turno arrivano alle 4-5 della mattina e iniziano a preparare. Alle 7 hanno già distribuito la colazione ai bambini". Si vuole però evitare l'abitudine della carità, cioè che la gente si abitui a ricevere dall'alto, con il rischio della deresponsabilizzazione. Per questo nelle mense non tutto è gratuito. La gente contribuisce: paga 1 sole per un pranzo e 30 centimos di sole per le colazioni. "Certo – precisa Fernando - ci sono famiglie che non possono pagare nulla. Per queste abbiamo un'assistente sociale che lavora a tempo pieno: le visitiamo per capire i loro bisogni. Per esempio, qui, nel centro della parrocchia, la colazione che facciamo per 180 bambini al giorno è gratuita, questi sono i più poveri". Le cifre sono drammaticamente chiare: su 70 mila abitanti del quartiere, il 70% sono poveri, il 30% è classe medio-bassa. Per questa gente, alla disgregazione familiare e alla mancanza di lavoro, si aggiunge il problema della salute. Lo stato peruviano non offre infatti alcun tipo di servizio medico gratuito: se una persona si ammala, deve pagarsi medico, cure e medicine. A meno che non abbia un’occupazione stabile (e dunque paghi i contributi). "Ma a Chorrillos non più del 30% della gente ha un lavoro fisso. Il restante non ha diritto all'assistenza medica gratuita. Ecco perché ci sono due centri medici nella parrocchia: vi lavorano un medico, un dentista, una ostetrica, uno psicologo". C'è la farmacia e lo studio legale. E non soloÖ "Oltre alle mense parrocchiali e ai centri medici, abbiamo anche 4 piccoli asili-nido, che funzionano nelle case di alcune mamme. Cioè queste donne mettono a disposizione la loro abitazione (spesso fatta di stuoie e cartone) dove si prendono cura di 15-18 bambini". Mense, asili, ambulatori: la parrocchia svolge quei servizi essenziali che lo stato non può o non vuole offrire. "Diamo i servizi di base per rispondere alle necessità primarie della nostra gente. Senza questi aiuti non potrebbe vivere". Tutti i professionisti (l'avvocato, il medico, l'infermiera, ecc.) non ricevono un vero stipendio, ma soltanto un piccolo compenso. "Perché – spiega il missionario - sono persone che comunque hanno un lavoro fisso. Quando hanno finito, prestano servizio da noi: sono amici della parrocchia". Nelle sue risposte, padre Madaschi dice "il nostro popolo", "la nostra gente". Chiedo (con un pizzico di cattiveria giornalistica) se gli abitanti mostrano gratitudine e riconoscenza o se, invece, rispondono a una logica di opportunismo, aggrappandosi all’unica àncora di sopravvivenza. "Noi missionari – risponde senza esitazioni - siamo ben visti. Le persone sono rispettose, nonostante in questa zona ci siano parecchi pericoli. Qui assaltano (come nella capitale Lima) e rubano. Però con noi si comportano bene. La gente ci stima, ci vuole molto bene, collabora. La parrocchia funziona perché ci sono moltissimi laici. Sono più di 1.000 quelli impegnati nelle nostre comunità: catechisti, responsabili della pastorale familiare, della liturgia. Abbiamo 181 gruppi biblici, che si ritrovano nelle case delle famiglie: ogni mese si riuniscono, leggono la parola di Dio e condividono la loro vita, le loro esperienze. E, a partire da questa riflessione, trovano anche delle piccole soluzioni alle loro necessità. Vedo che il lavoro di evangelizzazione aiuta moltissimo, dà speranza, dà vita al nostro popolo". Padre Fernando parla di speranza. Ma esiste in questo paese la possibilità di avere una vita migliore oppure è una utopia? "Anch'io, a volte, sono un po' pessimista. Soprattutto quando vedo che il governo privatizza tutto, promuove esclusivamente una politica neoliberista, non si interessa dei poveri... Io penso che se tu aiuti le persone a vivere la solidarietà, a rispettare i diritti umani, la loro dignità, ad essere coscienti della loro situazione e, non ultimo, ad essere critici verso lo stato e il governo, l’esistenza migliora. Quando noi promuoviamo l'organizzazione e il lavoro comunitario, le cose progrediscono. In questa zona 7-8 anni fa non c'era niente, ma con la solidarietà molte cose sono cambiate. E la gente vive meglio, con più sicurezza e più dignità".
LA CHIESA LOCALE E GLI STRANIERI La parrocchia "Cristo Misionero del Padre" comprende 14 capelle per circa 70 mila abitanti, secondo l’ultimo censimento. Con la forza delle idee, della volontà e della fede, i missionari hanno costruito una realtà indispensabile. "La chiesa locale non ha molti mezzi e dunque non può seguirci nelle nostre attività. Anzi, siamo noi che dobbiamo collaborare quando fanno le collette di solidarietà: anche la nostra parrocchia, nonostante sia povera, dà il suo contributo. Praticamente, per i nostri problemi, noi dobbiamo arrangiarci. Il vescovo e il cardinale sono amici, ci vogliono bene, ma non hanno la possibilità di aiutarci". Il cardinale di Lima si chiama Augusto Vargas Alzamora. Nonostante i raggiunti limiti di età (ha già compiuto 76 anni), gli è stato chiesto di rimanere in carica. Ultimamente, l’alto prelato ha avuto parole dure nei confronti delle autorità. Le sue critiche si sono appuntate sullo scandalo delle sterilizzazioni forzate, sul totalitarismo della maggioranza fujimorista, sulla bocciatura del referendum popolare. Alcuni politici, risentiti, hanno detto che un sacerdote, tanto più se di alto grado, non deve intervenire su certi argomenti. Il cardinale ha replicato che non starà zitto, che continuerà a parlare "perché Gesù ha fatto così". Al di là delle polemiche sulla "teologia della liberazione" ("una riflessione che è partita dalla vita"), la chiesa latinoamericana non ha dimenticato il proprio impegno verso i più sfortunati, gli oppressi, i poveri. Su questo terreno si muovono, in particolare, i missionari. "Ma – precisa padre Fernando – non vogliamo cadere nell’errore dell’assistenzialismo. Il nostro lavoro di promozione umana vuole che il povero sia protagonista della sua vita e partecipi in prima persona al cambiamento". Quasi tutti i missionari lavorano nelle zone più povere del paese: le periferie delle città, le campagne, i villaggi nella sierra e sulle Ande. "Chi viene qui – ricorda padre Fernando – lascia tutto e mette la sua vita a disposizione degli altri". Si dice che i sacerdoti peruviani preferiscano lavorare nelle parrocchie ricche, mentre a quelle difficili vanno gli stranieri. "Penso che sia anche questione di numeri. In Perù la maggior parte dei sacerdoti sono stranieri. Circa il 60%, che è una percentuale molto alta. Comunque io conosco sacerdoti peruviani che operano con i poveri o in zone particolarmente disagiate".
ATTRAZIONE PER L’UOMO FORTE? Venendo a Chorrillos a bordo di una combi, ho avuto modo di ascoltare alcuni commenti politici tra i passeggeri. Due uomini difendevano la "mano forte" usata dal presidente, il suo pragmatismo e la sua volontà di chiedere al popolo un nuovo mandato. Una indiretta conferma che, da queste parti, le democrazie hanno vita difficile. "Io penso – spiega Fernando - che in Perù ci siano persone capaci di assumere responsabilità politiche senza scivolare nell'autoritarismo. Molte volte lo si giustifica dicendo che esso è l'unica via, "altrimenti la gente farebbe quello che vuole". Io credo che non sia vero. Lo vedo anche nelle piccole cose, a livello di parrocchia: dove c'è organizzazione, quando si forma e si educa la gente, le persone sono capaci di assumersi le proprie responsabilità, di vivere con radicalità e fedeltà il proprio impegno. Io penso che questo possa accadere anche nel campo della politica. Può essere possibile. Deve essere possibile". Ma, obiettiamo, Fujimori non va per il sottile: tutto quello che va contro i suoi piani lo toglie di mezzo. è accaduto con i tre giudici della Corte costituzionale, con il canale televisivo Frecuencia Latina (il cui proprietario ha dovuto addirittura fuggire negli Stati Uniti) e ora con il referendum che voleva applicare la Costituzione e impedire la sua terza candidatura. Per non parlare delle malefatte compiute dal suo fido assessore, il chiaccheratissimo Vladimiro Montesinos. "Nei primi anni di Fujimori, la gente era molto passiva. Forse perché frastornata dal disastro economico e dal terrorismo. Poi, però, ha cominciato a svegliarsi. Hanno iniziato gli studenti universitari con le marce di protesta e la raccolta delle firme per il referendum. Questo risveglio è stato molto positivo, perché i peruviani hanno cominciato a rispondere, a non accettare tutto con passività. Hanno visto le promesse mancate del presidente, le sue attitudini dittatoriali. Hanno capito quante delle sue mosse siano dettate solo dal desiderio di accaparrarsi la simpatia del popolo". Oggi molti peruviani hanno aperto gli occhi su un modello economico, quello neoliberista, che ha dato il colpo di grazia a paesi già poveri, accentuando le differenze sociali. "è vero: questo sistema ha ampliato il divario tra ricchi e poveri. Il fatto grave è che lo stato si è defilato e ha lasciato tutto in mano ad imprese private che, ovviamente, lavorano solo per massimizzare i profitti. Queste sono doppiamente dannose perché non fanno investimenti e perché esportano gran parte dei guadagni in altri paesi o nei loro paesi d’origine". In Perù la privatizzazione forzata ha portato tutte le imprese e le fabbriche in mano alle multinazionali straniere. Con quelle del Giappone in fortissima ascesa, favorite dalle origini nipponiche del presidente peruviano. "Ci sono interessi politici per mantenere il paese con un certo livello di povertà. Mi capisci? Ti faccio un esempio concreto: il problema della pianificazione familiare. L’anno scorso il governo ha promosso con molta forza la questione della limitazione delle nascite. Dietro questo progetto ci sono gli Stati Uniti i quali non vogliono che i paesi poveri incrementino la propria popolazione. Secondo loro l’unica causa della povertà è l’elevato numero di figli per famiglia. Mentre nulla dicono sulla maladistribuzione della richezza tra le classi sociali". Per uscire dal circolo vizioso della povertà sarebbe vitale offrire un adeguato livello di educazione ai giovani peruviani. Invece è avvenuto il contrario: lo stato ha favorito la crescita di un sistema scolastico escludente. L’analfabetismo rimane alto e moltissimi bambini non finiscono neppure i cicli scolastici obbligatori. La scuola pubblica è gratuita, ma "gli scolari – spiega padre Fernando - debbono comprarsi i libri, l'uniforme, ecc. Insomma, ci sono moltissime spese. Noi nella parrocchia facciamo la campagna scolare ogni anno: paghiamo l’immatricolazione, i quaderni e i libri che costano troppo. A Lima e in tutto Perù proliferano gli istituti privati. Perciò i ricchi hanno la loro educazione assicurata e una educazione di un certo livello. Mentre nelle scuole statali la qualità dell’insegnamento è molto bassa, perché i professori non sono né molto preparati né motivati, dato che il loro stipendio è bassissimo. La situazione è tale che in certi villaggi (sulle Ande, per esempio) non ci vuole andare nessuno. Allora lo stato e il ministero per l'educazione consentono ai giovani del luogo che hanno finito un ciclo di studi di fare da insegnanti". La percentuale di gente povera o, come si dice tecnicamente, che vive sotto il livello di povertà raggiunge livelli molto alti. Almeno il 50% (ma forse si tocca il 60) dei peruviani è povero. E tra essi c'è un 30% che si trova nella miseria più disperata. Perché qui non c'è un solo livello di povertà. Ci sono i poveri che non hanno accesso ai beni essenziali e quelli che non riescono a mangiare tutti i giorni. Secondo una statistica, ai tempi del corrottissimo governo di Alan Garcia (socialista, esiliato in Francia, probabilmente a godersi il consistente "bottino"), prima dell'anno ’90, la percentuale di povertà era più bassa che adesso sotto Fujimori. Un peruviano che tornasse in Perù dopo 9 anni di fujimorismo vedrebbe che le cose sono cambiate moltissimo: case migliori, strade in buone condizioni, negozi fornitissimi. Guardando con più attenzione, scoprirebbe però che la percentuale di povertà è aumentata tantissimo.
SENDERO LUMINOSO ED MRTA I movimenti terroristici sono nati come risposta alla situazione di ingiustizia, di povertà estrema del Perú. Non hanno visto nessuna speranza nei governi di turno e allora si sono organizzati per opporsi con la forza. Spiega Fernando: "I mezzi che hanno utilizzato non si possono giustificare. La loro scelta violenta ha sicuramente pregiudicato il loro messaggio. E ciò è vero soprattutto per Sendero, che è stato molto sanguinario soprattutto con il popolo: ha ucciso dirigenti popolari, donne dei movimenti di base, sindaci dei paesi più sperduti della selva e delle Ande". L’ultima azione clamorosa risale ormai a due anni fa: il sequestro da parte dell’Mrta dell’ambasciata giapponese. Finì nel sangue e molti (il presidente per primo) gioirono. "Non c’era niente da festeggiare per quella conclusione – ricorda il missionario italiano -. Io ho letto reportage molto brutti: le teste di cuoio hanno ammazzato Cerpa e i suoi alla grande, meticolosamente, cercando di ucciderli tutti. Fujimori voleva un trionfo...". "Personalmente penso che molta gente non ha condiviso l'azione militare del presidente. Perché, nonostante che il gesto dei terroristi fosse sbagliato, tutti volevano una soluzione pacifica, che si arrivasse a un dialogo e non ci fossero morti. Credo che, se ci fosse stato un dialogo più franco, più sincero con i terroristi, le cose si sarebbero risolte. Loro sono entrati il 17 dicembre 1996 all'ambasciata e già alla fine del mese Fujimori con i militari aveva preparato un gruppo d’assalto particolare, aveva ricostruito l'ambasciata in una zona periferica di Lima e stava organizzando l’attacco nei minimi particolari. Il fatto della commissione dei garanti, il dialogo, l’uscita pacifica era tutto falso: la conclusione era già stata decisa. Li hanno uccisi tutti perché nessuno doveva sopravvivere". Durante l’attacco delle truppe speciali una pallottola ha ucciso il giudice Carlos GiustiÖ "Ma non credo – si lascia scappare padre Fernando - che fosse una pallottola vagante. E’ molto strano che l’unico ostaggio ucciso sia stato un oppositore del governo. Giusti era un giudice che dava fastidio perché si era opposto ad alcune leggi di Fujimori". Nei primi sei mesi del 1998 Sendero Luminoso ha rivendicato 157 atti sovversivi. Soprattutto nella selva (77), sulle alture di Ayacucho e Huancavelica (37), e a Lima (20). Le autorità peruviane sostengono che si è trattato sempre di gesti di modesta portata, isolati e il più delle volte limitati a minacce e propaganda. Altri osservatori temono invece che il terrorismo si stia riorganizzando, favorito dalla grave situazione sociale.
LA CUCINA DI DONNA FLOR In Italia vivono oggi migliaia di peruviani. La maggior parte lavora per mandare i soldi ai propri congiunti. Racconta padre Fernando: "Quando tre anni fa sono stato in Italia mi sono incontrato con giovani peruviani di una parrocchia di Milano. Mi hanno spiegato che loro stanno soltanto per i soldi. Il loro desiderio è di guadagnare abbastanza per tornare in Perù, comperare una casa e magari aprire una piccola attività. Alcuni si sposano e rimangono, ma quelli che non lo fanno prima o poi torneranno in Perù". Fernando Madaschi è nel paese andino da dodici anni, un tempo importante, soprattutto se la permanenza è stata vissuta con partecipazione e intensità. "Mi chiedi una sintesi? Ringraziare Dio e questo popolo. Sento che questi sono stati i migliori anni della mia vita, ho imparato molte cose qui in Perù: ad apprezzare le cose semplici e amare di più la vita. Ho capito meglio cosa significa essere sacerdote missionario, che non era quello che io pensavo quando ero in seminario. Ringrazio il Signore e questo popolo peruviano perché è più quello che ho ricevuto da loro che non quello che ho dato. Ci sono delle cose che io non apprezzavo nella vita e che ho imparato da loro: il senso dell'ospitalità, dell'amicizia, della solidarietà, dell'organizzazione popolare...". All’inizio del nostro incontro padre Fernando aveva accennato alla possibilità di essere richiamato in Italia. "Potrebbe essere – risponde lui - . Però io spero che si dimentichino. Uno che si abitua, che conosce la realtà, le necessità di questa gente, alla fine sente veramente la necessità di fermarsi. Io non posso scegliere perché debbo ubbidire ai miei superiori. Ma confesso che vorrei fermarmi in Perú, continuare la mia esperienza e condividere la mia vocazione con questo popolo. Però devo anche essere disponibile alla volontà di Dio che è espressa nei superiori. Se tornerò in Italia, tornerò contento e penso che questa esperienza sicuramente mi servirà anche per aiutare, nel mio piccolo, la chiesa italiana a capire il sacerdozio missionario in un'altra prospettiva". Scendiamo nell'ampio soggiorno che sta al primo piano. In attesa del pranzo ci sono padre Tarcisio Marin e due africani: il padre Luis Okot del Sudan e il fratello Paul Mandala Muanabis proveniente dalla Repubblica Democratica del Congo. Donna Flor, la "cocinera" della comunità, chiama tutti a tavola. Gode di un'ottima fama. Del tutto meritata.
Paolo Moiola
|