SALUTE E SANITÀ - L’«etica» delle multinazionali
farmaceutiche
In un mondo sempre più privatizzato anche il
«diritto alla salute» sta diventando un lusso. Lo
è già da tempo nei paesi del Sud del mondo, dove si muore di malaria,
diarrea, tubercolosi, polmonite. E ora di Aids.
Le cure ci sarebbero, ma costano troppo. Le multinazionali si
giustificano con gli elevati costi della ricerca.
Peccato che i dati smentiscano i pianti: i loro profitti sono in
crescita e di gran lunga superiori a quelli delle
altre aziende. Così qualche paese (Thailandia, India, Brasile, Sudafrica)
ha provato a ribellarsi al sistema vigente,
sfidando le ire degli Stati Uniti e dell’«Organizzazione mondiale del
commercio». Vinceranno le ragioni del
profitto o quelle del traballante «diritto alla salute»?
UGUALI DAVANTI
ALLA MALATTIA? Qualcuno
sostiene che la malattia accomuna tutti, ricchi e poveri. Ritengo che questo possa essere
(parzialmente) vero per la
morte, ma non lo è per la malattia. Gli esempi si sprecano: il reperimento di organi (dai reni
alle cornee), le liste
di attesa per esami ed operazioni chirurgiche, l’accesso a farmaci e strutture ospedaliere troppo
spesso tutto si
riduce a una questione di soldi. Nei paesi del Sud in primo luogo, ma anche in molti paesi ricchi. La
sanità
statunitense non è quella bella e buona favoleggiata nella popolarissima serie televisiva «E.R., medici in prima
linea». Negli Stati Uniti il livello delle cure mediche è eccelso soltanto per chi può permettersi di pagare
un’affidabile
assicurazione sanitaria. La conferma viene dalle graduatorie internazionali che mettono ai primi posti
della sanità pubblica
la Francia e, sorpresa, l’Italia, mentre gli Usa sono molto indietro. Come si fa a conciliare
il diritto universale alla
salute con la privatizzazione della sanità? Eppure, sembra proprio questa la strada battuta,
soprattutto nei paesi meno
sviluppati dove la popolazione spesso non ha neppure il necessario per mangiare. Il
problema si ripete con l’Aids. La
malattia, già soprannominata la «peste» del millennio, ha fatto strage nei suoi 20
anni di diffusione. Ebbene, guardando alle
statistiche degli organismi internazionali, si vede che l’80 per cento dei
decessi legati alla malattia è stato registrato
nell’Africa subsahariana, ovvero nei paesi più poveri del mondo.
Per essi il futuro è nero, se si considera l’enorme
diffusione del virus Hiv tra donne e bambini. Ci sono paesi
africani (Zimbabwe, Botswana, Zambia) dove più del 35% delle
donne registrate nei reparti di maternità urbani (che
rappresentano un’esigua minoranza del totale) sono
contagiate. Rispetto al totale mondiale, si calcola che circa 2/3
dei casi di trasmissione dell’Aids dalla madre al
bambino (durante la gestazione e, in misura inferiore, durante
l’allattamento) avvengono in Africa. Gli scienziati sono
convinti che un vaccino contro l’Aids sarà pronto entro il
2007. Nel frattempo, i malati di Aids hanno possibilità di
sopravvivenza molto diverse, a seconda che abitino nel Nord
o nel Sud del mondo.
TERAPIE DA 15 MILA
DOLLARI Le multiterapie anti-Aids (un cocktail di medicine come
l’AZT e il 3TC) oggi consentono una consistente
riduzione della mortalità. Però queste cure costano circa 15.000
dollari all’anno per paziente. Cifre impensabili per i paesi
del Sud, dove l’epidemia ha assunto connotati drammatici.
Alcuni di essi (come Brasile, India e Thailandia) hanno trovato
un modo per aggirare il problema fabbricando copie
a buon mercato dei farmaci brevettati. In questo modo, il costo delle
terapie è crollato a circa 350 dollari l’anno per
paziente. Nel 1997 il presidente sudafricano Nelson Mandela promulgò una
legge, denominata Medicine Act, che
recepiva questa situazione. Con essa venivano presi due provvedimenti per combattere il
dilagare dell’Aids: da un lato
si decideva di acquistare i farmaci non necessariamente dall’industria nazionale (costituita
da filiali delle
multinazionali), ma da qualsiasi paese estero dove i prezzi fossero più convenienti. In altre parole, veniva
instaurato
un mercato parallelo, che importava i farmaci (i cosiddetti «farmaci generici») dai paesi le cui leggi nazionali
permettono di ignorare i brevetti sui farmaci in caso di urgente bisogno. Il secondo aspetto della legge, ancora più
radicale, consisteva nell’autorizzare la fabbricazione dei farmaci antiretrovirali da parte delle industrie locali,
anche in
assenza dell’autorizzazione delle industrie farmaceutiche che detengono i brevetti. Contro la legge si
mobilitò
immediatamente la lobby farmaceutica mondiale, con immediate e pesanti pressioni sugli Stati Uniti e, di
conseguenza,
sull’Omc, Organizzazione mondiale del commercio. Così, lo scorso 5 marzo, a Pretoria, è iniziato il
processo intentato da 42
case farmaceutiche contro il governo sudafricano, colpevole di aver emanato una legge che
viola gli accordi sul commercio
mondiale. E qui il problema assume connotati interessanti, riassumibili in un
semplice quesito. Come è possibile che
multinazionali potentissime chiedano «protezione» dalle conseguenze del libero
mercato, usualmente icona intangibile del
sistema neoliberista? FARMACI «PROTETTI» DAL «LIBERO» MERCATO Dal
1994, ai paesi aderenti all’Omc è stato
intimato di sottomettersi agli accordi denominati «Trips». Secondo questi, non
è più possibile produrre un farmaco o
acquistarlo all’estero senza l’autorizzazione (contro versamento di «royalties»)
del proprietario dell’invenzione, che
conserva questa prerogativa per 20 anni. Tuttavia, sotto la pressione di
alcuni paesi, i Trips hanno previsto clausole di
eccezione: in caso di emergenza sanitaria o di intralci alla
concorrenza (rifiuto di vendita dell’inventore o prezzi troppo
alti), ogni governo ha il diritto di ricorrere alle
«licenze obbligatorie» (compulsory licences) e alle importazioni
parallele. Le prime consentono di fabbricare un
prodotto senza l’accordo dell’inventore (come hanno fatto il Brasile, la
Thailandia, l’India); le seconde di
acquistarlo là dove è venduto a minor prezzo (come vuole fare il Sudafrica). Di queste
scappatoie si lamentano le
lobbies farmaceutiche, che vogliono imporre la soppressione di ogni eccezione ai diritti di
brevetto. Lo fanno
attraverso gli Stati Uniti, che a loro volta sono i veri decisori all’interno dell’Omc. Poiché in
campagna
elettorale la nuova amministrazione Bush ha accettato cospicui finanziamenti dall’industria farmaceutica,
aspettiamoci
pressioni e ritorsioni commerciali (ad esempio: la tassazione dei prodotti d’esportazione) degli Stati Uniti sui
paesi
«disobbedienti». È inutile negare l’evidenza: i Trips sono clausole protezionistiche introdotte dall’Organizzazione
mondiale del commercio, grande sacerdotessa del libero mercato. Libero finché fa comodo agli interessi privati dei
grandi
gruppi industriali e finanziari. Eppure, non occorre essere oppositori del sistema neoliberista per
affermare che i
pazienti non sono clienti e i farmaci non sono prodotti come gli altri. E che il diritto di brevetto
non può essere posto al
di sopra dei bisogni elementari dell’umanità. «Che i brevetti - ha scritto Le Monde
Diplomatique - assicurino l’avvenire è
forse vero per l’avvenire della ricerca privata e senza alcun dubbio per quello
degli azionisti delle compagnie
farmaceutiche, ma in nessun caso per quello dei malati».
I TAGLI ALLA SANITÀ
PUBBLICA Abbiamo parlato di 350
dollari annuali per pagare le cure a un malato di Aids utilizzando i «farmaci
generici». La cifra, pur bassa rispetto ai
prezzi ufficiali, rimane elevatissima per le finanze pubbliche dei paesi del
Sud. Negli anni passati, la Banca mondiale e
il Fondo monetario internazionale hanno imposto ai paesi del Sud
l’adozione dei famigerati «aggiustamenti strutturali». I
tagli delle spese pubbliche si sono tradotti in tagli ai già
esigui budget sanitari. Ha senso ora lamentarsi
dell’inadeguatezza dei sistemi sanitari nei paesi in via di
sviluppo? Nella maggioranza dei paesi poveri (in particolare,
di quelli africani) la spesa sanitaria globale pro
capite non supera i 10 dollari all’anno. Quindi, anche a prezzi
ultrascontati, offrire cure pubbliche ai malati di Aids
sarebbe impossibile. Soltanto un’esigua percentuale di fortunati
vedrà difeso (più o meno efficientemente) il proprio
«diritto alla salute». Dunque, si ritorna all’assioma di partenza di
quest’articolo. Chi è povero, sia esso lo stato o
l’individuo, ha molte meno possibilità di rimanere in salute e, ove malato,
di curarsi.
UN VIRUS CHIAMATO
«POVERTÀ» L’anno scorso il presidente sudafricano Thabo Mbeki, successore di
Mandela, venne sbeffeggiato e
deriso perché aveva dato credito alle teorie dissidenti, secondo le quali il virus
dell’immunodeficienza (Hiv) non
sarebbe la causa dell’Aids. Di fronte a questa forte polemica, passarono in secondo piano
le altre osservazioni del
leader sudafricano. Nella lettera indirizzata al presidente Clinton, Mbeki sottolineava lo stretto
rapporto tra la
morte massiccia, provocata dalla malattia in alcune regioni del mondo come l’Africa, e la povertà di massa
che soffoca
quelle stesse regioni. In pratica, il presidente sudafricano sottolineava che il solo approccio biomedico non
permette
di vincere la sfida dell’Aids. Era questa una constatazione non nuova, ma sempre sottovalutata. Già nel 1985,
l’annuale rapporto dell’Organizzazione mondiale della sanità scriveva: «La povertà esercita un’influenza su tutti gli
stadi
della vita umana, dal concepimento alla tomba. Cospira con le malattie più mortali e dolorose». No, non si è
tutti eguali
davanti alla malattia. E l’Aids è solo l’ultimo degli esempi possibili.
TABELLA COMPARATIVA: Gli argomenti delle multinazionali farmaceutiche
* Ci vogliono almeno 20 anni di protezione brevettuale per recuperare le
grandi somme necessarie
alla ricerca e allo sviluppo di nuovi farmaci.
Gli argomenti dei paesi del Sud
* Le aziende
farmaceutiche (e con loro gli Stati Uniti e il Wto) mettono il profitto davanti agli
individui.
* Da anni gli utili
delle case farmaceutiche sono sempre superiori agli utili delle altre
aziende.
* La spesa in ricerca e sviluppo è
un’esigua frazione rispetto ai soldi spesi per il marketing dei
farmaci.
* Solo il 10% dei fondi per la ricerca e lo
sviluppo è destinato a cure contro il 90% delle malattie a
diffusione mondiale, mentre il grosso è speso per malattie tipiche
del Primo mondo come l’obesità, la calvizie e
l’impotenza.
* Il Sud del mondo viene utilizzato per la sperimentazione
di farmaci che poi non vengono resi
disponibili per le popolazioni che hanno subito la sperimentazione.
Farmaci
antiretrovirali
Primo
gruppo: inibitori nucleosidici della transcriptasi inversa virale
Retrovir
(Glaxo-Wellcome) L.
571.200 Videx (Bristol-M. Squibb) L. 406.100 Epivir (Glaxo-Wellcome) L.
532.000 H Zerit
(Bristol-M. Squibb) L. 519.600 H Hivid (Roche) L. 499.800 Ziagen
(Glaxo-Wellcome) L. 685.300
H
Combinazione di 2 inibitori Combivir (Glaxo-Wellcome) L. 930.600
H
Secondo
gruppo: inibitori delle proteasi
Norvir (Abbott) L. 849.300 H Invirase
(Roche) L.
1.276.000 H Fortovase (Roche) L. 1.266.000 H Crixivan (Merck S.D.) L. 1.258.400
H Viracept (Roche) L. 919.600 H Agenerase (Glaxo-Wellcome) L. 959.200 H
Terzo
gruppo: inibitori non nucleosidici della transcriptasi inversa virale
Viramune (Boehringer Ing.) L.
375.000 H Sustiva (Du Pont Ph.) L. 761.400 H
H = solo dispensazione ospedaliera (il prezzo va
dimezzato). Il prezzo equivale al costo di una terapia per un mese. In Italia le cure sono gratuite. Per
ora.
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