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VENEZUELA Chávez-USA, la sfida continua |
maggio 2004 |
Venezuela (ai tempi di Hugo Chávez Frias)
"CHAVEZ LOS TIENE LOCOS"
di Paolo Moiola
Tra oppositori e sostenitori del presidente Hugo Chávez Frias l'unica cosa in comune sono i colori della bandiera nazionale: giallo, azzurro, rosso. I secondi dimostrano, peró, di avere piú fantasia e, forse, piú gioia di vivere. A Caracas, per esempio, molti chavisti manifestano il loro appoggio al presidente indossando un cappellino con i colori nazionali e una scritta che recita "Chávez los tiene locos". La frase si puó tradurre, piú o meno, cosí: "Chávez li fa andare fuori di testa". Nulla di piú vero. "Per le élites e la classe media (meno del 20% della popolazione) - ci ha detto il professor Samuel Moncada, direttore dell’Istituto di storia dell’Università centrale del Venezuela – Chávez è un barbaro, una vergogna. È la volgarità personalizzata. È (ovviamente!) un comunista che guida un’orda di poveri ignoranti e violenti". Da quando – era la fine del 1998 – il tenente colonnello Hugo Chávez Frias, meticcio (particolare, questo, di grande significato, non soltanto simbolico), è stato eletto presidente il variegato fronte degli oppositori, pur dotato di una forza d’urto dirompente (enormi disponibilitá finanziarie e l’appoggio incondizionato degli Stati Uniti), le ha provate tutte per scacciare il presunto usurpatore. Il primo tentativo risale all’11 aprile 2002, quando l’opposizione mise in atto un vero golpe che però durò lo spazio di sole 48 ore. Il tempo necessario alla gente del popolo per scendere dai barrios e presentarsi in massa davanti a Palazzo Miraflores per chiedere il ritorno del loro presidente. Poi ci fu lo sciopero generale di 2 mesi che, piú che paralizzare il paese, produsse danni economici per 12.000 milioni di dollari. Infine – é storia di oggi -, l’opposizione ha scelto di percorrere la strada del referendum revocatorio, previsto dalla nuova Costituzione, introdotta dallo stesso Chávez. Peccato che, per arrivare alle 2.400.000 firme (il 20 per cento del corpo elettorale) necessarie per indirlo, abbia scelto la scorciatoia: migliaia di firme sono risultate scritte dalle stesse mani, altre fotocopiate, altre ancora appartenenti a persone prive del diritto a votare. A conti fatti, soltanto 1.832.013 firme sono risultate valide: ne mancano circa 600.000 per raggiungere il quorum. Il Consiglio nazionale elettorale ha dato l’opportunitá di rimediare; l’opposizione, dopo aver gridato al complotto di regime, ha accettato. Il referendum probabilmente si farà entro il 2004, a meno che la situazione non precipiti.
La guerra (pubblica) delle televisioni (private) La vera arma di distruzione in mano al fronte anti-chavista sono i mezzi di comunicazione: i media venezuelani hanno completamente abbandonato la propria missione informativa per diventare potenti oppositori politici. Le televisioni (1), in particolare, si sono trasformate in veri e propri istigatori a delinquere. I quattro principali networks privati sono: "Radio Caracas de Television", "Globovision" (una rete di sole notizie), "TeleVen", "Venevision". Quest'ultima è proprietà di Gustavo Cisneros (2), uno degli uomini più ricchi dell'America Latina. Cisneros ha interessi in svariati campi (dai supermercati alle squadre di baseball), ma é soprattutto l’uomo delle televisioni. Oltre a Venevision, possiede partecipazioni importanti in quasi tutte le reti televisive dell’America Latina, inclusa la statunitense CNN, che ha una diffusissima versione in spagnolo (CNN En espanol, appunto). I programmi delle televisioni commerciali non rispettano alcun limite. Il presidente Chávez è messo, quotidianamente, alla berlina con insulti ed apprezzamenti di ogni tipo. Gli esponenti dell’opposizione sono eroi e martiri (ancorché a piede libero e in ottima salute) che combattono contro l’usurpatore... Durante il citato, fallito golpe dell’11 di aprile e il successivo disastroso sciopero generale le televisioni commerciali giocarono un ruolo di primo piano. Inizialmente, istigando alla rivolta, poi disinformando. Purtroppo, sono soltanto le immagini di queste televisioni ad arrivare sui circuiti televisivi internazionali, producendo una distorsione della realtà che probabilmente ha pochi riscontri nel mondo contemporaneo. L’ultimo esempio risale alla fine di febbraio 2004. In Europa e Italia sono arrivate notizie di gravi incidenti per le strade di Caracas. Quasi una guerra civile (3). La realtà era ben diversa e, per fortuna, assolutamente meno drammatica. Ragazzi giovanissimi e sicuramente orchestrati da qualcuno giungevano al mattino in un punto determinato della cittá, interrompevano la strada, bruciando spazzatura e copertoni. Il tutto sotto l’occhio vigile delle telecamere. Dopo una settimana, le azioni (chiamate "guarimbas") sono improvvisamente terminate, non per l’intervento delle forze dell’ordine ma perché non stavano ottenendo l’effetto sperato: fomentare il caos e accendere gli animi.
Lo scrigno dei desideri Nella sede amministrativa di "Petroleos de Venezuela Societad Anonima" (Pdvsa) (4), la compagnia petrolifera statale che, dal 1976, gestisce le risorse petrolifere del paese latinoamericano, si entra soltanto dopo severissimi controlli (foto digitale compresa). La cosa è comprensibile, se si considera che la differenza maggiore tra un paese qualsiasi e il Venezuela la fa - e questa non affatto una sorpresa - il petrolio, di cui il paese di Hugo Chávez è ricchissimo. Di questa enorme ricchezza la compagnia pubblica Pdvsa ne è lo scrigno. Uno scrigno capiente che, proprio per questo, fa gola a molti, in primis agli Stati Uniti. Bisogna ricordare che il petrolio del Venezuela rappresenta il 30% delle importazioni petrolifere degli Stati Uniti. Con due grandi vantaggi accessori: è relativamente vicino ai mercati statunitensi e proviene da un paese non arabo. Attorno a Pdvsa si é giocata (e si gioca) una partita importante e molto rischiosa per il Venezuela. Durante lo sciopero del dicembre 2002, l’opposizione la utilizzò cinicamente per i propri obiettivi politici, senza considerare il danno per il paese. L’obiettivo era di prosciugare le entrate in dollari dello stato e, di conseguenza, costringere il presidente Chávez alle dimissioni. In due mesi di sciopero e di vero e proprio sabotaggio la produzione petrolifera crollò da 3 milioni di barili al giorno a 25.000. Per una perdita secca di 10.000 milioni di dollari. Ma - un po’ per tenacia un po’ per miracolo - il paese ed il governo mantennero i nervi saldi e ne uscirono addirittura piú forti. Il presidente Chávez licenziò in tronco migliaia (si parla di 18.000) tra dirigenti e quadri dell’azienda, quelli che avevano partecipato al sabotaggio. Pdvsa riprese ad estrarre petrolio ed oggi, forse per la prima volta dall’anno della sua nazionalizzazione, è effettivamente nelle mani dello stato. "Paradossalmente, proprio grazie all’opposizione – ci ha spiegato Aram Aharonian, direttore del mensile Question –, finalmente si sono nazionalizzate le risorse petrolifere e la Compagnia é stata ripulita. Prima di oggi, Pdvsa non aveva mai lavorato per sviluppare il paese, ma soltanto per poter comprare all’estero e per riempire conti personali". Un segno concreto della nuova Pdvsa é il suo attivismo nel campo sociale. Attualmente la Compagnia finanzia direttamente una delle "misiones" del governo, quella denominata Ribas, il cui obiettivo é di portare al diploma di scuola superiore (bachillerato) coloro che, per un motivo o per l’altro, non hanno potuto concludere gli studi. Un cambio di registro importante per una Compagnia per la quale valeva piiù che mai il detto secondo cui la realtà supera spesso la fantasia. Tra i tanti possibili esempi quello che proviamo a raccontare è probabilmente il piú eclattante. Prima del governo Chávez, era presidente (dal 1994 fino al marzo 1999) dell’industria petrolifera venezuelana Luis E. Giusti. Questi aveva appaltato tutti i servizi informatici ad una azienda di nome "Intesa", il cui azionista di maggioranza era la statunitense Saic, a sua volta fornitrice della Cia. In pratica, tutti i dati di un’azienda strategica come Pdvsa erano in mano ad aziende legate al governo di Washington. Nulla di strano, dunque, se durante lo sciopero petrolifero il sistema informatico rimase bloccato per 2 mesi, senza che nessuno potesse intervenire. Ma non è tutto: il colpo di scena finale è da Oscar. Che fa oggi l’ex presidente di Pdvsa, Carlos Giusti? Giusti vive negli Stati Uniti ed ha un lavoro di tutto rispetto. È infatti consulente della Shell e del presidente Bush per i problemi petroliferi.
Paolo Moiola
Note: (1) Ai networks televisivi privati cerca di contrapporsi la piccola televisione pubblica, "Venezolana de Televisión". Il suo giornalista più noto, Ernesto Villegas Poljak, ha un posto di rilievo sul sito www.reconocelos.com, una sorta di moderna lista di proscrizione dove viene pesantemente attaccato chiunque collabori con il governo di Chávez. (2) Si legga Pablo Bachlet, "Gustavo Cisneros. Un empresario global", Planeta, Buenos Aires 2004. È un libro agiografico, ma ricco di informazioni. E con una sorprendente prefazione dello scrittore messicano Carlos Fuentes. (3) Si veda Alí Rodríguez Araque, "El proceso de privatización petrolera en Venezuela", Fondo Editorial ALEM, 1997. Oggi l'autore è il presidente di Pdvsa.
VENEZUELA: CRONOLOGIA fino al maggio 2004
27 febbraio 1989 - A Caracas esplode la protesta di vasti settori della popolazione. La manifestazione si tramuta in insurrezione violenta con saccheggi e devastazioni. La rivolta si estende anche in altre città del Venezuela. Il presidente Carlos Andrés Pérez manda contro la folla l’esercito che apre il fuoco. I morti sono migliaia. 4 febbraio 1992 - Il tenente colonnello Hugo Chávez e altri quattro comandanti tentano un golpe contro Carlos Andrés Pérez. La sollevazione fallisce. marzo 1994 - Il nuovo presidente Rafael Caldera libera Chávez. 1997 - Chávez fonda il "Movimento V (Quinta) Repubblica", partito con il quale si candida alla presidenza del paese. 6 dicembre 1998 - Chávez viene eletto presidente del Venezuela con il 56,49% dei voti. 2 febbraio 1999 - Al momento del giuramento, il neo-presidente afferma di prestare giuramento sopra una "costituzione moribonda". aprile - dicembre 1999 - La maggioranza dei venezuelani approva la proposta di convocare un’assemblea costituente per redigere una nuova costituzione (25 aprile). Il raggruppamento di Chávez conquista 122 seggi su 131 all’interno della costituente (25 luglio). Il 15 dicembre un referendum approva la nuova costituzione "bolivariana". 30 luglio 2000 - Chávez ottiene il 59% dei voti nelle elezioni indette in conformità alla nuova costituzione. 13 novembre 2001 - Sulla base di una deroga di legge (la cosiddetta "ley habilitante"), il governo di Chávez approva per decreto 49 leggi di grande impatto economico e sociale (sono comprese materie come la proprietà della terra, l’imprenditorialità, la pesca). Le associazioni degli imprenditori contestano le nuove norme. 5 marzo 2002 - La principale organizzazione imprenditoriale, "Fedecámaras", e la corrottissima "Confederación de trabajadores de Venezuela" (Ctv) si alleano per opporsi a Chávez e al suo governo. 11 aprile - L’opposizione convoca una marcia fino al palazzo presidenziale di Miraflores per chiedere la rinuncia di Chávez. Ci sono scontri con i simpatizzanti del presidente. Sul terreno rimangono almeno 12 morti e centinaia di feriti. 12 aprile - Ore convulse. Viene annunciato che il presidente è stato portato via da Caracas e che ha rinunciato all’incarico. L’opposizione nomina l’imprenditore Pedro Carmona, presidente di "Fedecámaras", capo di un governo di transizione. Gli Stati Uniti dichiarano il proprio appoggio al golpe. 13 aprile - Un decreto del governo transitorio azzera l’Assemblea nazionale. Le strade di Caracas iniziano a riempirsi di gente che reclama il ritorno del presidente Chávez. 14 aprile - La mattina di domenica Hugo Chávez torna nel palazzo presidenziale di Miraflores. Il golpe dell’opposizione è durato soltanto 48 ore. 22 ottobre - Quattordici alti ufficiali dell’esercito venezuelano si ammutinano. Approntano il loro "quartier generale" in piazza Altamira, (nella parte est di Caracas), dichiarandola "territorio liberato". 2 dicembre - L’opposizione, guidata da "Fedecámaras" e dalla "Confederación de trabajadores de Venezuela" (Ctv), e sostenuta dai principali mezzi di comunicazione, proclama uno sciopero generale (paro civico nacional). Obiettivo primario è la paralisi dell’industria petrolifera (Pdvsa), la principale fonte di ricchezza del paese. 2 febbraio 2003 - L’opposizione decide di revocare lo sciopero che dura da 63 giorni. Ma la fermata del settore petrolifero ha determinato un crollo verticale delle entrate fiscali. 27-31 maggio 2004 - Negli uffici del Consiglio nazionale elettorale (Cne) i venezuelani possono confermare o ritirare la propria adesione al referendum per la destituzione del presidente Chávez.
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